I manifesti della Collezione Salce. Intervista alla direttrice Marta Mazza
Parola alla direttrice di una collezione preziosa, la più vasta raccolta di manifesti in Italia. Finalmente accessibile al pubblico nella nuova sede trevigiana.
È la più ampia raccolta di manifesti in Italia e conta 45mila pezzi, tra i 25mila acquistati da Nando Salce fino al 1962 e quelli che l’hanno arricchita in anni più recenti; dallo scorso maggio ha finalmente trovato una sede a Treviso che consente l’allestimento di esposizioni temporanee per far scoprire al pubblico questo genere fino a pochi decenni fa considerato “arte minore” e che invece riserva – oltre a un grande interesse dal punto di vista estetico – la possibilità di condurre approcci interdisciplinari. Ne abbiamo parlato con Marta Mazza, direttrice della Collezione Salce e attenta “custode” della collezione già da molti anni.
Partiamo dalla collezione storica: quali sono state le scelte di Salce nell’acquisto dei manifesti?
Salce era un collezionista “onnivoro”: all’inizio cercava i manifesti che gli mancavano, acquistandoli dal libraio Sabot, da Ricordi, dagli stampatori, ma nel complesso non ha fatto censure o selezioni: ha comprato di tutto e questo rende la sua raccolta massimamente rappresentativa da un punto di vista interdisciplinare: tanti manifesti – uno straordinario numero è inedito e a ogni mostra esponiamo pezzi mai visti – hanno infatti prevalente valore documentario rispetto a quello squisitamente artistico.
Cos’è successo dopo il testamento del 1962 con cui Salce ha donato la raccolta allo Stato?
Attorno al 1968 si è fatta una prima inventariazione, poi la collezione ha vissuto una lunga stagione di valorizzazione con mostre temporanee soprattutto nei musei civici di Treviso. Con Ugo Soragni alla Direzione Regionale del Veneto, nel 2007 ha preso avvio l’idea del museo da parte dello Stato. Insieme alla Soprintendente, abbiamo elaborato un progetto sottoponendolo a Soragni, che ha trovato i fondi statali da investire, mentre il Demanio ha proposto questi spazi che nessuno voleva per la loro configurazione particolare. Grazie ai fondi – tutti pubblici, e parliamo di più di 6 milioni di euro, 500mila dei quali spesi per la catalogazione – si sono restaurati l’edificio e l’attigua chiesa e si è identificata un’altra struttura che diventerà il deposito con laboratorio fotografico e manutentivo.
Quindi i lavori non sono ancora conclusi?
No, infatti: la grande fabbrica gotica indemaniata – da cui provengono gli affreschi di Tommaso da Modena –, una volta conclusi i lavori in corso, ospiterà il deposito. Grazie all’altezza straordinaria si potranno esporre anche i manifesti più grandi, quelli di 6 metri: vorrei inoltre fare delle proiezioni virtuali degli affreschi originali poiché conosciamo esattamente la loro posizione originaria.
Come sta andando il museo? Ha un buon riscontro di pubblico?
Sì, la prima mostra sulla Belle Époque ha fatto bellissimi numeri, pur essendo il museo aperto solo 4 giorni a settimana, ma con un’apertura serale fino alle 21. C’è riscontro, i numeri sono stati pazzeschi nelle prime domeniche del mese gratuite e in totale, in soli quattro mesi di apertura prevalentemente estiva ‒ durante i quali, per ragioni di calendario, non si sono potute intercettare le scuole ‒ abbiamo contato 6.500 visitatori. Con questa seconda mostra, Tra le due guerre, stanno arrivando le prenotazioni dei gruppi e prevediamo numeri maggiori.
Come ha accolto l’apertura del museo la città di Treviso?
Inevitabilmente bene, perché ha sempre sentito la Collezione Salce come una cosa sua, anche se post mortem di Salce perché quando lui era in vita non ha trovato interlocutori negli amministratori cittadini: era una collezione impegnativa, serviva troppo spazio e non si sapeva come trattare i materiali. I trevigiani ora sono molto contenti e orgogliosi, ma non hanno molta coscienza degli sforzi che stiamo facendo. La città infatti non ha fatto nulla, non ha contribuito in alcun modo né in questo momento si intravedono intenzioni in tal senso. Treviso preferisce investire sulle “grandi mostre” come quella recentemente annunciata su Rodin, che funzionano bene soprattutto in vista delle elezioni della prossima primavera…
Ma la Collezione Salce non è solo un museo: i manifesti sono digitalizzati e accessibili a tutti. Una risorsa preziosissima…
La banca dati online è completa dei 25mila manifesti storici e permette una ricerca per parole chiave poiché i catalogatori hanno riportato ogni cosa scritta o rappresentata sul manifesto. È uno strumento indispensabile per l’editoria, ad esempio, ma anche per i ricercatori perché stimola l’approfondimento scientifico; non dimentichiamo che Salce, nel testamento, ha imposto che la collezione “serva da studio e conoscenza a studiosi, studenti e appassionati”. Inoltre l’accesso alla banca dati alimenta le richieste di riproduzione con conseguente pagamento di diritti che per noi costituiscono importanti risorse.
E per quanto riguarda l’esposizione e la conservazione delle opere?
Le mostre possono durare solo quattro mesi perché questo è il limite in termini conservativi per la carta, che è povera, fragile, spesso ha già subito l’esposizione all’aperto. Per l’esposizione al pubblico abbiamo fatto una scelta estremamente coraggiosa: i manifesti sono sostenuti da calamite e senza protezione frontale. Lo riteniamo indispensabile per una visione corretta e perché le opere con il vetro perdono la loro bellezza ed è difficilissimo illuminarli, anche se lasciarli privi di protezione presenta il problema della promiscuità: limitiamo quindi l’accesso a 20 persone al massimo perché gli spazi sono piccoli.
Sperimentate nuove tecniche di restauro?
Certamente, oltre al rinforzo dei manifesti con nuove colle e supporti in carta – preferiamo dove possibile usare un materiale il più possibile simile all’originale – stiamo tentando di “scaricare” la colla dello scotch. Al tempo di Salce questo venne abbondantemente usato per rinforzare le opere, ma nel tempo si è vetrificato, la colla è penetrata nella carta e le tracce si vedono brutalmente: in alcuni manifesti cadono fuori dalla battuta del colore, in altri sono invadenti. Le nuove tecniche che abbiamo messo a punto consentono di ottenere ottimi risultati, come dimostra Bouillon Kub di Leonetto Cappiello, scelto come immagine dell’attuale mostra e che prima del restauro era rovinato proprio dallo scotch.
Una gestione che punta quindi sulla valorizzazione attraverso delle mostre di richiamo – dopo quella in corso è prevista la monografica su Federico Seneca, per terminare la serie cronologica con i manifesti dal 1940 al 1962 –, ma che non dimentica il compito primario della tutela, non eludibile per un museo pubblico: il Salce si sta ponendo come un autentico capofila su molti progetti, in collaborazione con istituti e università, ma a Marta Mazza le nuove idee certo non mancano. Tra le aspirazioni future la direttrice ha espresso il desiderio di allestire una banca dati degli inchiostri e delle carte e di organizzare percorsi di didattica sulle tecniche litografiche di stampa, per far conoscere non solo le opere storiche, ma anche come venivano realizzate.
– Marta Santacatterina
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