Il fallimento dell’utopia. Sanya Kantarovsky a Torino
Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino ‒ fino al 25 febbraio 2018. L’architettura come cornice e metafora dell’epoca sovietica per una costruzione narrativa della figurazione. Tra voyeurismo, malinconia e coercizione, la pittura grottesca di Sanya Kantarovsky a Torino.
Muove dalle ripercussioni che l’architettura genera sulla psicologia degli abitanti del tessuto territoriale in cui sorge, il progetto di Sanya Kantarovsky (Mosca, 1982) che vede il murale di una khrushchyovka in fase di demolizione ‒ tipico condominio prefabbricato dell’era sovietica, simbolo di declino e degrado ‒ fare da struttura portante alle opere pittoriche inserite sulla facciata a mo’ di finestre aperte. Davanti a esso una serie di cherepashki, tartarughe d’acciaio dei parchi gioco, ne rafforzano il carattere di piccoli spaccati di vita quotidiana del fatiscente edificio, la cui architettura, in questo frangente, diventa metafora. Un pretesto per mettere a confronto la vita dell’epoca con quella occidentale e analizzare lo spazio emotivo dell’individuo.
AZIONI FORZATE
Provocano un forte senso di disagio, i personaggi dai gesti contorti e dai corpi rattrappiti ed emaciati che gravitano attorno all’universo dell’artista russo. Sono costretti a compiere azioni forzate, sia quando subiscono atti di sottomissione sia quando li esercitano. Giochi di dominio, forme di manipolazione e controllo e relazioni spesso ambigue dei protagonisti sono una costante del corpus di dipinti per cui sottintende un approccio voyeuristico. Si tratta di narrazioni oscure, talvolta perverse, dai toni torbidi e indefiniti. Di scene affollate dai tagli inconsueti e spesso angusti, dalle superfici frammentarie e stratificate, dove i corpi si sovrappongono e fondono tra loro e i visi altro non sono che maschere grottesche capaci di suscitare confusione e repulsione.
Il repertorio cui l’artista attinge è vasto: dal simbolismo graffiante che tanto lo accosta a Ensor e Grosz ai colori acidi e alle deformazioni tipiche del linguaggio espressionista tedesco; dall’illustrazione e dal fumetto delle avanguardie sovietiche fino all’oscuro humour kafkiano, senza trascurare l’arte popolare russa e il manierismo italiano.
RAPPRESENTAZIONI INSTABILI
Sanya Kantarovsky gioca con l’ambivalenza del termine Letdown, che significa delusione ma anche produzione di latte materno, titolo di una delle opere in mostra dove un bimbo, aggrappato alla schiena di una madre piegata su stessa, sofferente e implorante, ne manipola il seno alla ricerca spasmodica delle ultime gocce di latte. Imbarazzo, disagio, coercizione, malinconia e violenza, filtrati dalla componente surreale e dal linguaggio proveniente dai cartoon, non subiscono un’edulcorazione bensì concorrono a renderne ulteriormente instabile la rappresentazione e grottesco il significato. Tutto sembra rimandare al linguaggio delle mani. Quelle mani che ora applaudono a teatro e che sono le stesse che hanno percosso il fondoschiena di un bambino in Escalation, mentre in Gutted l’inquietante gigante che giace su un tavolo regge, con un solo enorme dito, il corpo esile di un ragazzo, dall’espressione triste e disincantata, che ci fissa quasi a scongiurare l’incombenza di un avvenimento infausto. E ancora mani in primo piano: quelle di una madre che strattonano il figlio sottraendolo alla presa da parte di chissà quale oscuro personaggio. Mani che dialogano, s’impongono e costringono. E che non rivelano mai fino a che punto si spingeranno.
‒ Roberta Vanali
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