René Paresce e gli italiani a Parigi. In mostra a Bologna
Santa Maria della Vita, Bologna - fino al 25 febbraio 2018. Rendendo omaggio a René Paresce, a ottant’anni dalla scomparsa, la mostra è anche occasione per riscoprire il gruppo degli Italiens de Paris, protagonisti di una stagione brevissima ma intensa della pittura italiana degli Anni Trenta. 73 opere fra dipinti e disegni, selezionate per questa interessante mostra di studio.
Nel periodo fra le due guerre, Parigi visse la sua ultima, splendida, multiforme stagione culturale: mentre la comunità intellettuale americana, “guidata” da Francis Scott Fitzgerald, si curava le angosce da eccessi mondani nei locali di Montparnasse, al Cafè de Flores in Saint-Germain-des-Prés, Simone de Beauvoir, Albert Camus e Jean-Paul Sartre gettavano le basi dell’Esistenzialismo contemporaneo. In questo composito e vivace quadro s’inseriscono quei pittori italiani che nella capitale francese erano alla ricerca di una pittura capace di esprimere la contraddittorietà dei tempi.
UN’AVANGUARDIA ITALIANA ALL’ESTERO
Dopo le sperimentazioni delle Avanguardie nel primo Novecento, i rivolgimenti sociali e politici della Grande Guerra inducono in Italia un ripensamento artistico sintetizzato da Ardengo Soffici nella definizione di “ritorno all’ordine”, recuperando la tradizione figurativa dei Primitivi e del Rinascimento. Ma i più intraprendenti non si appagarono di un semplice ritorno al passato. Attorno alla figura di René Paresce ‒ fisico, intellettuale e pittore, che si trovava nella capitale francese già dal 1912 ‒, si radunarono, nei tardi Anni Venti, Campigli, de Chirico, de Pisis, Savinio, Severini, Tozzi, dando vita agli Italiens de Paris, o Group des sept. La loro pittura mirava a cercare il senso di quell’epoca contraddittoria, in precario equilibrio fra la pace e la guerra, dominata dai nazionalismi, eppure culturalmente viva. Il gruppo fu portavoce di una pittura suggestiva, fra tradizione e avanguardia, densa di razionalità e sospesa in un realismo magico che anticipa una corrente che nascerà nel 1947.
Nel gennaio del 1930, a Milano, si tenne la prima mostra in patria del gruppo e, nonostante la spada di Damocle del regime fascista, il gruppo dei “parigini” riuscì per un po’ a mantenere una certa libertà d’azione, ma si sciolse nel 1933 quando dal MinCulPop giunse l’ordine di costituirsi in sindacato. Seppur caratterizzato da un breve vita, il sodalizio parigino costituì probabilmente la voce più interessante della pittura italiana dell’epoca, e contribuì in maniera sostanziale al suo apprezzamento nel resto d’Europa.
PITTORE PER PASSIONE
Figura poliedrica di intellettuale cosmopolita, nella Ville Lumière Paresce si sentiva a casa propria e nel clima che vi si respirava ebbe modo di dar sfogo alla sua passione per la pittura: nella lezione di Cézanne trovò la chiave per l’espressione volumetrica delle sue composizioni, dove il geometrismo e la forma cubica prevalgono nel costruire nature morte, scorci di quartiere, e paesaggi dalle suggestioni marine sospesi in un’atmosfera onirica di passato e presente, una commistione che ricorda i capricci dei vedutisti settecenteschi. Ma nell’inseguire l’immaginazione, Paresce era alla ricerca di una verità che emergesse da quel “limbo” che sembrava essere quel contraddittorio dopoguerra. In mezzo, anche l’urgenza di affrancarsi dall’eredità francese e affermare una pittura dai caratteri strettamente italiani: non per eccesso di patriottismo, ma per il rispetto verso le proprie radici. Da qui, la predilezione per le vestigia dell’antichità, simboli da cui partire per raccontare l’Italia, con la sua cultura e le sue tradizioni.
La sua tecnica pittorica ricorda l’affresco, e la scelta dei colori si concentra prevalentemente sul rosso, l’azzurro e l’ocra scuro, che rimandano alla scuola pompeiana. L’attività pittorica di Paresce fu comunque breve, e si concluse con la fine del Group des sept; infatti, l’attività di corrispondente estero per La Stampa e Il Popolo d’Italia lo coinvolse in maniera sempre più preponderante, fino alla prematura scomparsa nel 1937.
UN MOVIMENTO COMPOSITO
Se, da un lato, i sette “parigini” erano accomunati dalla fusione di atmosfere oniriche e intellettuali, sospese fra passato e presente, dall’altro li differenziava lo stile, che ognuno sviluppò in autonomia senza però ignorare i movimenti altrui e dando vita ad alcune analogie. Mario Tozzi e Massimo Campigli sviluppano una pittura fortemente materica, il cui effetto di affresco ricorda proprio Paresce. Da lui si differenziano nella scelta dei soggetti, perché al paesaggio prediligono la figura umana, realizzata in proporzioni monumentali, fluttuante in una dimensione eroica legata a un mondo arcaico (Tozzi) o alla quotidianità (Campigli). Se Tozzi è fautore di una poetica pittorica di stampo concettuale pirandelliano, connessa alla psicologia dell’inconscio, Alberto Savinio, scrittore oltre che pittore, spinge l’inconscio su sentieri surrealisti, alternando dipinti esplicitamente materici ad altri dove il segno sottile rivela una spiccata attrazione per la grafica. Da parte sua, Filippo de Pisis predilige un metodo pittorico affine all’Impressionismo per la non accuratezza dei contorni, la pennellata rapida e vibrante, con cui immortala paesaggi cosparsi di oggetti, frammenti, corpuscoli; universi smisurati che l’uomo percorre a piccoli passi.
Più dottrinario l’approccio di Gino Severini, che si affida alla proporzione matematica nella costruzione delle sue opere, dove il disegno preparatorio è sempre molto curato. Le vestigia dell’antichità greca e romana s’incontrano con la cultura teatrale della maschera italiana e riallacciandosi, come Tozzi, a Pirandello, Severini trasferisce sulla tela un’umanità misteriosa, falsamente gaia, che vaga sotto il peso della nostalgia del passato. Un afflato teatrale tocca anche la metafisica di Giorgio de Chirico, la cui perizia grafica ricorda quella del fratello Alberto (Savinio), applicata però a un’estetica che rifiuta il Surrealismo e resta ancorata alla reinterpretazione della classicità e fedele alla lezione dei maestri rinascimentali.
Pittori fra loro diversi, ma uniti dalla considerazione per l’antico, così come dalla volontà di “ritornare al mestiere” attraverso tecniche pittoriche complesse, con le quali fermare sulla tela il patrimonio spirituale e culturale della civiltà italica. Non necessariamente in accordo con il regime fascista.
‒ Niccolò Lucarelli
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