La Camera delle Meraviglie
Isolo 17 Gallery presenta La Camera delle Meraviglie, mostra collettiva a cura di Leonardo Regano.
Comunicato stampa
Isolo 17 Gallery presenta La Camera delle Meraviglie, mostra collettiva a cura di Leonardo Regano. La storia ci tramanda le Camere delle Meraviglie come raccolte caotiche di oggetti preziosi e rarità che hanno contraddistinto il gusto della nobiltà e degli uomini di cultura tra il XV e il XVII secolo. Una mancanza apparente di ordine, tra anacronismi e sovrapposizioni di stili, scelto come perfetto paradigma del clima postmoderno in cui viviamo. Muovendosi tra pittura, installazione, performance e fotografia, in mostra sono presenti cinque autori, Hannes Egger, Serena Gamba, Jacopo Dimastrogiovanni, Sabrina Muzi e Amandine Samyn, che nella diversità dei linguaggi espressivi scelti hanno reso centrale nella loro pratica il rapporto con il passato e la memoria, qui legati in un confronto dagli esiti originali e carico di spunti di riflessione sul nostro presente.
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TESTO CRITICO
LA CAMERA DELLE MERAVIGLIE
La storia ci tramanda le Camere delle Meraviglie come raccolte caotiche di oggetti preziosi e rarità che hanno contraddistinto il gusto della nobiltà e degli uomini di cultura tra il XV e il XVII secolo. Senza alcun ordine apparente, se non l’arbitrio del collezionista, questi luoghi si sviluppavano disordinatamente, creando spesso anacronismi e confusioni tra raccolte e oggetti. L’importante era possedere quanto di più si poteva e quanto di più raro era in circolazione. L’obiettivo dichiarato era quello di “ricostruire l’intero universo in una stanza”. Passato e presente, autentico e artefatto, naturale e artificiale: i confini tra le definizioni e le categorie divenivano labili e chi possedeva queste raccolte non lesinava espedienti scenografici per stupire il visitatore. Si viveva in un’epoca in cui ecletticità e vastità d’interessi erano sinonimo della raffinatezza culturale raggiunta. Traslata nelle moderne tecnologie, oggi torna questa confusione tra vero e verosimile, una mescolanza di linguaggi e di saperi che nutrono il nostro quotidiano e il nostro pensiero. Le camere delle meraviglie diventano così il simbolo della nostra contemporaneità, ricca di stimoli e di fermento, fondata su una cultura stratificata che mescola le carte tra alto e basso, tra banale e geniale, triviale e raffinato. Per il pensatore contemporaneo, proprio come doveva essere per il visitatore delle wunderkammern, non c’è altra soluzione che accogliere tutte queste sollecitazioni e rilevarle nelle loro interferenze, modularle in un sapere articolato e ricco di riferimenti. Come predetto da De Chirico, la strada per la ricerca del nuovo oggi la si trova nelle stanze del museo, nella continua citazione, in una ricerca in cui passato e presente si fondono uniti in un grado zero della creatività. E così anche per Marshall McLuhan che ha ribadito l’impossibilità di creare nel nostro tempo uno stile autentico, delineando nella rivisitazione degli stili del passato la vera chiave di lettura del nostro presente. La wunderkammern che ci apprestiamo a percorre in questa mostra, perciò, non è una raccolta di oggetti ma un momento di riflessione, una pausa dall’ansia del progresso, per ritrovare il riferimento al passato come via di fuga e momento fondante per una riconsiderazione del nostro futuro.
Muovendosi tra pittura, installazione, performance e fotografia, Hannes Egger, Serena Gamba, Jacopo Dimastrogiovanni, Sabrina Muzi e Amandine Samyn ci accompagnano in questo percorso nella creatività che si nutre di un approccio eclettico alla tradizione. Cinque autori, che nella loro pratica hanno reso centrale il rapporto con il passato e la memoria, in uno scambio osmotico continuo. In questo confronto, lo spazio della galleria si trasforma in un museo ideale, in cui antico e contemporaneo si fondono per dare vita a un pensiero del tutto originale. Il percorso prende avvio con un omaggio al primo Rinascimento, inteso come periodo in cui si pongono le basi di una nuova sensibilità e si intraprende il cammino verso la modernità. A Domenico Veneziano è riferito l’omaggio di Serena Gamba che propone un originale rilettura della sua Annunciazione, oggi conservata al Fitzwilliam Museum di Cambridge. Parte centrale della predella della Pala di Santa Lucia de’ Magnoli (1445, Uffizi, Firenze), la piccola tavola si contraddistingue per la scelta del pittore di inserire i due personaggi, la Vergine e l’Arcangelo Gabriele, in una partitura geometrica rigorosa, enfatizzando la fuga prospettica verso l’ hortus conclusus sullo sfondo. Serena analizza il rapporto tra l’osservatore e l’impostazione geometrica dello spazio con uno studio meticoloso di ogni dettaglio, declinandolo in una rilettura dell’opera del Veneziano condotta attraverso il segno e la parola. In questa operazione, Serena svela le regole dell’opera d’arte, i principi su cui essa si basa, mettendola a nudo e creando così una nuova intimità con essa, un rapporto che, attraverso la conoscenza del canone, ce ne svela l’essenza. “Tanto che belle che paiono veramente di Paradiso” scriveva il Vasari a proposito dell’opera di Beato Angelico, rendendo esplicita la propria emozione davanti alla pittura del maestro fiorentino. E questo stesso entusiasmo ha mosso generazioni di artisti, rendendosi rivelatore per un nuovo approccio alla pittura. E l’importanza dell’Angelico è ribadita anche dalle osservazioni di Didi-Huberman, che ne riscopre l’innovatività e la trascendenza, riaffermando l’importanza della sua lezione anche per gli autori contemporanei. E a tale fascinazione cede anche Amandine Samyn che dedica un ciclo di lavori agli affreschi dell’Angelico conservati nel convento di San Marco. Sulle orme del pensiero dello storico dell’arte francese, Amandine da vita propria a quella “pittura di luce”, trasfigurando le immagini del maestro toscano in pure transizioni di colore, così come già Rothko aveva fatto. Cell 25 e Untitled ci conducono verso una pittura che esprime l’eternità del tempo, congelando il racconto dell’Angelico in una sospensione metafisica e appercettiva, introiettata verso una lettura intima e mistica dell’opera d’arte. Con Hannes Egger la nostra attenzione si sposta dalla singola opera a una riflessione sul modo in cui siamo in grado di percepirla all’interno dello spazio espositivo. I visitatori sono invitati a partecipare a un’azione collettiva, seguendo le istruzioni che l’artista impartisce attraverso un’audioguida. Dall’atto di osservare ci si trova a immedesimarsi nell’oggetto osservato. Un cortocircuito, uno scardinamento dei ruoli che non ci si aspetta. Il visitatore/performer con la sua voce ricrea nello spazio della galleria un allestimento ideale e sonoro ispirato a quello di tre grandi musei, riconosciuti come luoghi di cultura imprescindibili per il pensiero collettivo occidentale: gli Uffizi, il MOMA e l’Albertina. La vista, senso centrale nell’esperienza artistica, viene messa in secondo ordine e l’esperienza sonora, tattile e performativa ci conduce a una nuova consapevolezza del rapporto con l’opera d’arte. Oltre la soglia, in un ambiente nascosto in un primo momento alla vista, si schiude la vera Kunst- und WunderKammern nella sua doppia anima, di raccolta di rarità e di reperti scientifici. Imponente, l’installazione Furor di Jacopo Dimastrogiovanni si innesta sulla stessa ambiguità tra naturalia e artificialia che emergeva nelle raccolte rinascimentali. Il giovane pittore trentino nella sua ricerca mescola l’abilità pittorica all’espressività oggettuale, instaurando nell’osservatore un coinvolgimento emotivo e sensoriale che ci riporta ai fasti della pittura barocca, da lui presa come riferimento. E se Jacopo ci ha abituato nella sua pratica a un accanimento rovinoso e a un disfacimento dell’immagine dipinta, nel caso di Furor decide di ricomporre e ricreare la figurazione, giocando tra il vero e il verosimile, tra l’ambiguità di ciò che è stato e di ciò che non sarà mai. L’ambiguità dell’immagine è anche ciò che regge l’indagine fotografica condotta da Sabrina Muzi nelle stanze del Museo di Antropologia e di Zoologia dell’Università di Bologna. Ribaltando la visione antropocentrica seicentesca, alla base del progresso scientifico occidentale ma anche all’origine dell’allontanamento dell’uomo moderno dalla natura e dalle sue ritualità, l’artista ci offre un suggestivo spettro di connessioni e di interrelazioni tra il regno animale e l’azione classificatoria su cui si fonda l’indagine scientifica. Gli animali selvaggi, colti nelle loro espressività tipiche di attacco e di difesa, di rilassatezza e normalità, si rivelano a uno sguardo attento inseriti in un habitat posticcio e fasullo; nei riflessi che li circondano cogliamo la presenza dei vetri delle teche museali che li ospitano. Ed ecco che la camera della meraviglie diviene il rimando a una cultura empirica che si forma attraverso una conoscenza mediata e imperfetta del mondo, falsata, l’unica possibile se si devia da un rapporto diretto con la natura.