Architetti d’Italia. Massimo Pica Ciamarra, l’onnivoro
Stavolta è Massimo Pica Ciamarra il protagonista della rubrica dedicata da Luigi Prestinenza Puglisi agli architetti italiani. Aprendo uno squarcio su una carriera che all’esclusivismo assoluto preferisce un atteggiamento inclusivo e onnivoro.
Ho tardato a postare questo profilo di Massimo Pica Ciamarra. La ragione è che ho con lui una lunga frequentazione che va a scapito della distanza critica. E, poi, per scrivere di un personaggio così complesso, occorre affrontare tre insidiose questioni preliminari.
La prima ha a che fare con Bruno Zevi e riguarda, oltre Massimo Pica Ciamarra, un nutrito gruppo di architetti, alcuni straordinariamente dotati. Cito solo alcuni nomi: Luigi Pellegrin, Lucio Passarelli, Piero Sartogo, Manfredi Nicoletti, Giacomo Leone, Francesco Palpacelli, Marcello Guido. Si tratta di progettisti trascurati, poco pubblicati nelle riviste blasonate, guardati con sospetto dal mondo accademico. Insomma: dimenticati. Sarebbe interessante chiedersi il perché, cominciando a costruire una carta del successo degli architetti in relazione alle cordate o alle mode critiche prevalenti rispetto ad altre soccombenti. Ciò aiuterebbe a spiegare, per esempio, perché, in certi periodi, Vittorio Gregotti, Giorgio Grassi, Franco Purini abbiano goduto di maggiore attenzione di quella che meritino. E perché, in periodi ossessionati con la teoria, siano stati fortemente penalizzati progettisti che abbiano mostrato meno propensione verso chiacchiere ed elucubrazioni.
La seconda riguarda il fattore geografico. Sia pure semplificando, si può affermare che nel panorama architettonico italiano esiste un polo nord e un polo del centro sud. Il polo nord ha come principali riferimenti Milano e Venezia. Il polo del centro sud ha Roma e Napoli. Anche se ci sono scuole regionali o singoli progettisti che vanno in controtendenza ‒ per esempio scuole siciliane che cercano il confronto più con il polo nord che con il polo del centro sud o progettisti napoletani che tentano di mantenere un legame diretto con Milano ‒ la divisione è abbastanza netta. E poiché il polo nord esprime, in termini di realizzazioni, di contatti internazionali e di pubblicistica, una maggiore capacità di azione, i progettisti del polo del centro sud rischiano il dimenticatoio.
La terza questione riguarda il sospetto mai sopito delle culture accademiche nei confronti del professionismo. Chi preferisce costruire edifici rispetto allo scriver libri è giudicato con aria di sufficienza, proprio da coloro che i libri li scrivono e quindi comunicano e tramandano con più forza la loro visione dell’architettura. E anche se non è più come negli Anni Settanta, quando la parola professionista equivaleva nel gergo della intellighenzia architettonica a un insulto, ancora oggi si reputa un bel disegno più interessante di una buona costruzione.
SPAZIO E VITA VISSUTA
Massimo Pica Ciamarra patisce tutti e tre gli anatemi: è zeviano, è un esponente della cultura architettonica del polo del centro sud, è un professionista che ha realizzato centri commerciali, grattacieli, edifici universitari, piani urbanistici e non ha scritto abbastanza da far dimenticare le sue presunte colpe di costruttore.
In realtà, Massimo Pica Ciamarra zeviano lo è fino a un certo punto, malgrado il fatto che Zevi si sia occupato spesso di lui e che lo abbia coinvolto, con posizione di crescente responsabilità, nell’InArch, l’Istituto Nazionale di Architettura, da lui fondato e al quale era particolarmente legato. Come vedremo, se proprio vogliamo mettere a Pica Ciamarra una giacchetta, questa è del Team X. Ma con Zevi, Pica condivide l’idea che l’architettura è essenzialmente spazio e che, proprio per questo, debba rifuggire da configurazioni statiche, simmetriche, monumentali, banalmente elementari. Quanto basta per far storcere il naso a tutti coloro che, invece, credono nella perfezione estetica del semplice, se non del banale. Pica Ciamarra, che è uno straordinario affabulatore, racconta la sua conversione zeviana, a proposito del centro polifunzionale da lui realizzato ad Arcavacata per l’università della Calabria. Trentenne, mostra il progetto, ormai quasi esecutivo, a Bruno Zevi, che glielo critica con quella durezza appassionata che era il suo tratto distintivo. Toccato, Pica Ciamarra in pochi giorni disegna un progetto antitetico. Sicuramente uno dei suoi capolavori. Un’opera, che come noterà compiaciuto lo stesso Zevi, è finalmente una esplosione di spazi, non di semplici volumi.
Dicevamo, però, che la cultura di Pica Ciamarra appartiene al Team X e deve non poco al suo principale esponente italiano: Giancarlo De Carlo. L’obiettivo del raggruppamento, pur all’interno di scelte formali diverse, che andavano dal brutalismo degli Smithson allo strutturalismo non privo di aperture fantastiche di Aldo van Eyck, era realizzare un habitat per la gente che superasse le strettoie ideologiche del Movimento Moderno, senza cadere negli equivoci dello storicismo retorico e, poi, del postmodernismo disimpegnato. Coerentemente con tali assunti, lo spazio, per Pica Ciamarra, non è mai una entità in sé, ma luogo di vita vissuta. Da qui la centralità dell’utenza e il relativo disinteresse per le questioni di forma, per le invarianti linguistiche e per la coerenza stilistica se portatrici di scelte riduttive e intellettualistiche.
Sebbene l’esperienza del Team X, dopo i tentativi di proseguirla attraverso l’ILAUD di Giancarlo De Carlo, fosse considerata chiusa nel 1981 con la morte di Jaap Bakema, è continuata idealmente con la pubblicazione della rivista Le Carré Bleu. Di questa, della quale in precedenza era stato un redattore, dal 2006 Massimo Pica Ciamarra è il direttore. A testimonianza dell’attaccamento a una maniera di intendere l’architettura che, sebbene non antagonista, non è però zeviana.
UN INCLUSIVISMO ONNIVORO
Si fa fatica, del resto, a vedere Pica Ciamarra come un esclusivista con un punto di vista tagliato e assolutista. Credo, invece, che opti per un inclusivismo omnivoro che capta dalle realtà esterne, disciplinari e non, quanto di meglio possa servire per risolvere ciascun problema progettuale.
Da qui una pluralità di riferimenti. Se un’opera di Richard Meier la si riconosce a prima vista, molto più difficile è farlo con i lavori dello studio Pica Ciamarra Associati, e non solo per la diversità degli apporti dei partner e dei collaboratori, ma soprattutto per questo empirismo metodologico che evita scelte stilistiche precostituite una volta per tutte.
Se la prima priorità è la costruzione di luoghi, la seconda è la sostenibilità ambientale. Da epoca non sospetta, lo studio Pica Ciamarra adopera tecnologie innovative per ridurre i consumi e aumentare il benessere ambientale. E ha capito che l’ecologia, oltre a essere un bene in sé e per sé, è fonte di ispirazione formale. Si pensi ai progetti che ricorrono all’acqua per il raffreddamento, usandola come pretesto per costruire i prospetti degli edifici e per organizzare gli spazi che li circondano, come accade all’Istituto Motori del CNR a Napoli (1987) o alla sede Teuco Guzzini a Recanati (1995). Un atteggiamento che deve alle esperienze del Team X ma, anche, dell’High Tech: Pica Ciamarra è nato nel 1937, lo stesso anno di Renzo Piano, è di quattro anni più giovane di Richard Rogers, ha avuto numerosi contatti con la Francia e ha vissuto il sogno tecnologico della modernizzazione, anche se poi lo ha filtrato con una non meno presente cultura umanistica.
Ed è forse questo inclusivismo il principale punto di debolezza, che sembra accrescersi con il tempo, trovando alimento anche nelle forme del passato. Il risultato, come nel recente progetto per Corporea a Napoli, è che gli spazi appaiono straboccanti di idee e di riferimenti. L’occhio fatica a riposare. E si perde nell’abbondanza. Al frigorifero sempre vuoto della Kazuyo Sejima, per citare la più anoressica rappresentante del minimalismo, Pica sembra preferire quello sempre pieno di ingredienti e di sorprese della tradizione partenopea.
LE CONTRO-STORIE
P.S. Subito dopo aver pubblicato il pezzo n. 22 su Carlo Ratti, ho ricevuto una mail di Walter Nicolino, per lungo tempo suo partner, il quale mi faceva notare che nei miei profili parlo esclusivamente dei personaggi leader e non di coloro che hanno redatto, anche di sana pianta, i progetti o comunque dato un apporto fondamentale al lavoro dello studio. Accade anche in questo profilo di Massimo Pica Ciamarra nel quale non cito se non di sfuggita i suoi bravissimi partner e collaboratori, alcuni dei quali, oltretutto, conosco e stimo personalmente.
Il punto è che questi profili non mirano a ricostruire il contributo essenziale del gruppo di lavoro e di ciascun suo componente. Si limitano a tracciare le storie dei protagonisti. Che, per diventare dei marchi di fabbrica e continuare a esserlo, sono inevitabilmente dei vampiri, come da sempre lo sono stati i protagonisti più importanti delle vicende architettoniche. Insomma: ciò che in questi profili è importante è il personaggio più che i credits delle singole opere, che invece compaiono nelle pubblicazioni specialistiche. Certo è che, se nel corso della narrazione mi capiterà di scoprire e di poter documentare qualche contro-storia interessante (si pensi a quanto sia stata importante la contro-storia della Charlotte Perriand a studio Le Corbusier, di Rudolph Schindler a studio Wright, di Adolf Meyer o Ernst Neufert, i quali tenevano nelle loro mani una matita che Gropius non sapeva usare), ve la racconterò sicuramente.
‒ Luigi Prestinenza Puglisi
Architetti d’Italia #1 – Renzo Piano
Architetti d’Italia #2 – Massimiliano Fuksas
Architetti d’Italia #3 – Stefano Boeri
Architetti d’Italia #4 – Marco Casamonti
Architetti d’Italia #5 – Cino Zucchi
Architetti d’Italia#6 – Maria Giuseppina Grasso Cannizzo
Architetti d’Italia#7 – Adolfo Natalini
Architetti d’Italia#8 – Benedetta Tagliabue
Architetti d’Italia#9 – Michele De Lucchi
Architetti d’Italia#10 – Vittorio Gregotti
Architetti d’Italia#11 – Paolo Portoghesi
Architetti d’Italia#12 – Mario Cucinella
Architetti d’Italia #13 ‒ Mario Bellini
Architetti d’Italia #14 ‒ Franco Purini
Architetti d’Italia #15 ‒ Italo Rota
Architetti d’Italia #16 ‒ Franco Zagari
Architetti d’Italia #17 ‒ Guendalina Salimei
Architetti d’Italia #18 ‒ Guido Canali
Architetti d’Italia #19 ‒ Teresa Sapey
Architetti d’Italia #20 ‒ Gianluca Peluffo
Architetti d’Italia #21 ‒ Alessandro Mendini
Architetti d’Italia #22 ‒ Carlo Ratti
Architetti d’Italia #23 ‒ Umberto Riva
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati