Il nuovo Macro di Giorgio de Finis: storia di (una mancata) conferenza stampa
La conferenza stampa indetta il 21 dicembre -con l’annuncio arrivato alla stampa con un solo giorno di anticipo- per ‘presentare il nuovo direttore del Macro Giorgio de Finis’ non c’è stata; ciò che è accaduto è piuttosto una disquisizione ampia, ma che ha avuto poco a che fare con il tema, ovvero il futuro della gestione del museo.
Secondo un criterio sfuggente, se non quello di voler rendere sostanzioso il tavolo con la presenza dei direttori di MAXXI e Galleria Nazionale, compaiono tra i relatori Bartolomeo Pietromarchi, Cristiana Collu e poi Fabio Merosi, Azienda, Speciale Palaexpo, Eleonora Guadagno, Commissione Cultura, Luca Bergamo, Michelangelo Pistoletto, e naturalmente Giorgio de Finis.
ORDINE DEL GIORNO
Cercando di dare un senso a quanto riportato sulle due facciate A4 spillate, difficili da riconoscere come cartella stampa, né particolarmente appassionanti ed incomplete di dati, informazioni o contatti, Luca Bergamo introduce il tema: il progetto sperimentale per il Museo di Arte Contemporanea di Roma MACRO_asilo di Giorgio de Finis. Dal comunicato: “Macro _asilo è un progetto artistico che avrà durata di 15 mesi e che per il tempo del suo mandato, intende proporre un diverso modo di ‘giocare’ al gioco del museo(.. ). Il Macro cesserà di essere un museo ‘irreale’ per diventare … ‘reale’, vale a dire ospitale, residenziale, utilizzabile, produttivo, permeabile, leggero, polidisciplinare“ citando come esplicitato, la definizione di Cesare Pietroiusti relativa al MAAM, lo spazio diretto fino ad oggi da de Finis. Forse carente come definizione di un progetto che di fatto risulta essere il primo atto della tanto attesa svolta, urgente per il museo e per la produzione culturale della città stessa. Invece il testo sceglie un linguaggio narrativo, insufficiente come contenuto divulgativo per gli addetti ai lavori, ma anche per semplici lettori.
IL MACRO DIVENTA MAAM
È comunque chiaro che – come poi ribadito anche da de Finis -, il progetto MAAM si trasferisce al Macro: “Sono stato invitato a fare me stesso”. Dopo Luca Bergamo, segue una serie di interventi, che nulla aggiungono al poco del comunicato – Eleonora Guadagno in un lapsus freudiano chiama nido il progetto MACRO_asilo, Collu a contorno, Pistoletto parla di Utopie, de Finis affonda sul termine democrazia, Pietromarchi arriva in ritardo -, e che anzi innalzano il livello di insofferenza per mancanza di contenuti sostanziali. Si dà allora spazio alle domande, attese con certa impazienza, come ultima e reale occasione di scuotere dal torpore generale in cui si è tutti caduti. La parola a Raffaella Frascarelli (Nomas Foundation) che incalza precisa, chiedendo il motivo dell’assenza di bando per la scelta di direttore e quali potenzialità ha de Finis per rivestire tale ruolo. E questo è probabilmente l’unico stralcio significativo della conferenza, sia per i legittimi quesiti posti, che chiunque avrebbe dovuto porre – sia per la risposta data, che di fatto ribalta quanto sempre comunicato e mai controvertito: de Finis non sarà direttore del MACRO, ohibò. Finora è sempre stato detto e fatto intendere il contrario. Sbagliavamo. Bergamo risponde con un sillogismo, spiegando che la nomina di direttore avrebbe significato un concorso pubblico, che non c’è stato, quindi e per cui de Finis non è direttore, ma è curatore artistico del MACRO_asilo.
IL MACRO ASILO
Dichiarare un ruolo e intenderne un altro è piuttosto grave, aver fin qui annunciato de Finis come nuovo direttore è piuttosto grave, il fatto di non preoccuparsi dell’idea percepita diffusamente per mesi e fino ad oggi di de Finis direttore, denuncia o la mala fede – che è male – o l’incapacità di dare peso alle parole e alla comunicazione che in politica e in ruoli pubblici è molto male. (Per la cronaca, sembra di capire che la direzione del MACRO farà capo a Palaexpo; rimane da approfondire). Alla di fatto mancata risposta sul suo profilo professionale – che tanti contestano (ma de Finis non risponde neanche qui)- si avverte l’impressione da parte dei protagonisti di voler liquidare le domande ricevute, tuttavia più che legittime durante una conferenza stampa – come indiscrezioni inopportune. Accade così un corto circuito che avviene modificando il senso di quanto viene dichiarato, che ora sa di autodifesa più che di argomentazione di fatti. Un’apparizione di linguaggio social, caccia agli haters! Non ci si può allora non trovare d’accordo con Laura Larcan de il Messaggero (“Noi giornalisti poi dobbiamo scrivere di qualcosa”) a fare monito riguardo al senso di un incontro stampa: fornire dati, informazioni e spiegazioni attendibili e non vaghe; al contrario diventa arduo pensarsi ad una conferenza. Il dato del budget è così finalmente raggiunto (800mila euro) e vista la fatica per ottenerlo, è fuori luogo puntualizzare che un budget senza un programma operativo, è di fatto un non dato.
Il PROGETTO
Citare l’esperienza già avvenuta del MAAM come riferimento al programma del MACRO_asilo, se non fa onore all’originalità della nuova politica del museo, aiuta però a visualizzare ciò che altrimenti sarebbe difficile da comprendere. Ma altrettanto immediatamente ne evidenzia la difficoltà ad immaginarne strumenti e modalità adatti per attuarlo. Pare un’operazione tutt’altro che semplice, insomma, che legittimamente Gabriele Simongini del Tempo commenta ponendo in attenzione a quanto il MAAM sia il MAAM per un contesto e dinamiche peculiari. Come fare al Macro? Qui le risposte degli interrogati sono difficilmente riportabili poiché rientrano tutte in un flusso di pensieri ad alta voce, che rimandano indistintamente ad un dialogo sofisticato di citazioni dotte, Wittgenstein, filosofi francesi, Lehman Brothers, il cambiamento del mondo, il passato e il presente, noi, l’arte, Roma. Si cerca orientamento nel foglio/comunicato, che prosegue però allineato con: “Per far fronte alla carenza strutturale di fondi per l’arte e la cultura, per non incappare in scelte manageriali, MACRO_asilo opta per una temporanea sospensione delle mostre valorizzando la collezione esistente. Apre invece la porta tutti gli artisti che invita a partecipare alla costruzione del nuovo museo.“ Suscitando nuove perplessità: come può essere verosimile un‘idea di politica museale escludendo per principio la capacità manageriale? E quali gli esempi che fare il contrario porti a risultati evidenti? Rimane da approfondire.
L’ARTE PER TUTTI?
Ragionando per sintesi, l’affermazione con cui interpretare l’intero pensiero strutturante l’operazione, che però stride quando inserito in un dibattito sul futuro di un museo contemporaneo – è la chiamata aperta a “chiunque si definisca artista”. Chi è o chi non è artista non è evidentemente una semplice opinione, e implicherebbe un ulteriore dibattito a lato. Una leggerezza, in un contesto di dibattito veloce come questo che non prevede confronti speculativi, e non facilita l’approfondimento – che però non si può accogliere, perché come sottolineato da Pietromarchi nell’unica obiezione mossa da critica tra gli interventi – mostra mancanza di rispetto agli artisti per primi, e forse a tutti i presenti. Una parte numerosa dei quali -a questo punto ingenuamente – crede nella cultura e nell’arte come ambito economico e di investimenti della politica di un paese, e chi crea e prova ad alimentare tale ambito sono professioni e professionalità che devono essere i primi interlocutori a cui rivolgersi e con cui confrontarsi, possibilmente con termini e risposte adeguate, per dimostrare innanzitutto perché un professionista con esperienze più valide delle loro riveste quel ruolo.
POPOLARE O POPULISTA?
Sembra che volendo avvicinarsi al popolo, volontà rispettabilissima, si faccia invece il contrario: ovvero fare credere alla collettività che ciò di cui ha bisogno è il minimo, l’approssimato, il mai confrontabile con le migliori politiche del mondo – guardare agli altri non è un’opzione e non può essere sempre un rammarico- perché ci si tiene fissi a pensieri alti, senza dubbio – anche se si sa, è il miglior modo per allontanare il pubblico ampio – ma scevri di ogni scientificità. Parlare di politiche culturali serie significa studiare ed agire in termini di investimenti, risorse, obiettivi. E temo non serva neanche ricordare, come ha fatto in chiusura Luca Bergamo, che “Questa città è la capitale d’Italia”. Serve invece, senza parole, ma con fatti intelligenti, studiati, dimostrabili – prendersi le responsabilità e il rischio di farne la migliore città di Italia.
–Lucia Bosso
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