Riflessioni antropologiche. Gaylen Gerber a Roma
Galerie Emanuel Layr, Roma ‒ fino al 17 febbraio 2018. Una personale dal sapore antropologico che indaga il complesso rapporto fra l’arte e i valori di una società, spingendosi nella critica della perdita di valori. Un allestimento sobrio ma suggestivo fa dialogare oggetti fra loro lontani, ma uniti in un universo senza tempo.
Bianco o grigio; strati di colore a olio che si stendono su antichi manufatti come una colata di cemento che sfigura un’area monumentale. Lo spregiudicato processo di standardizzazione ideato da Gaylen Gerber (McAllen, 1955) non risparmia statuette africane e cinesi, oggetti votivi giapponesi e persino una pietra dell’Hotel Ambassador. Ricoprendolo di una patina bianca o grigia di colore a olio, l’artista texano rovescia la prospettiva storica dell’oggetto-opera d’arte, che non è più un simbolo del passato; standardizzato e modernizzato, l’oggetto perde la sua identità, i valori che rappresentava, nei quali si è creduto e che venivano quotidianamente riaffermati.
In questo gioco di spersonalizzazione s’innesta la riflessione sulla decadenza della società contemporanea, che svilisce manufatti antichi alla stregua di oggetti di design, ha perso la dimensione del sacro e si trascina pigramente fra violenza e indifferenza.
‒ Niccolò Lucarelli
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