Raccontare Beirut. Una grande mostra a Roma
Maxxi, Roma – fino al 20 maggio 2018. La mostra al Maxxi di Roma, curata da Hou Hanru coadiuvato da Giulia Ferracci, è parte di una “Trilogia mediterranea” insieme alle precedenti rassegne su Teheran e su Istanbul. In un’interessante catalogazione (Interactions across the Mediterranean) delle culture visive del Mediterraneo.
Home Beirut è una riflessione sulla capitale politica e culturale del Libano, città tradizionalmente internazionale e multietnica in cui culture, etnie e religioni si confrontano. Il paesaggio urbano e le guerre sono l’iconografia centrale che attraversa tutti i lavori della mostra, un paesaggio urbano distrutto all’infinito dalla guerra, fino a somigliare alla Guernica di Picasso squarciata e frantumata dai bombardamenti. Negli Anni ‘80-‘90 e ancora dopo con la guerra Israele-Libano, le immagini sinistre degli edifici sventrati della città testimoniavano le problematiche irrisolvibili di un Medio Oriente in perpetua crisi fra contese petrolifere, neocolonialismi occidentali, dittature locali ed estremismi religiosi. La devastante vita sociale degli ultimi quarant’anni produce naturalmente una frammentazione dell’immaginario, della visione e della cultura visiva. Schegge di vissuto e schegge di città ingombrano la percezione degli artisti. Una realtà/metafora di questa condizione viene proposta da Roy Dib, esponendo le lunghe tende fatte calare sulle facciate delle case di Aleppo fino al marciapiede per nascondere i passanti dal fuoco dei cecchini. Le tende diventano una difesa mobile per proteggersi dagli spari e, durante una performance, ne vengono distribuiti brandelli ritagliati come per far provare al pubblico la fragilità degli abitanti davanti alla violenza scatenata in città.
L’IMPORTANZA DEL VIDEO
Centrale nella mostra la presenza di video e video installazioni. Alcuni criticano l’uso dei media nelle culture extraeuropee come se fosse un’estrema influenza post-coloniale, in realtà niente è più naturale del fatto che, nell’uso globale di dispositivi di riproduzione, l’immagine video-digitale sia una risposta significativa di culture nel passato aniconiche a un’arte contemporanea senza più barriere espressive. Ancora Roy Dib offre, nel video A Spectacle of Privacy, un’enigmatica rappresentazione della condizione dell’artista. Documentarie sono invece le fotografie scattate da Paola Yacoub di sedicenti venditori di rose rosse durante l’occupazione siriana. I venditori erano in realtà spie e nessuno comprava i fiori. Il titolo, Le Rose di Damasco, ha quindi l’ironico doppio senso del nome della rosa e della capitale siriana impegnata nell’occupazione. Mona Hatoum, forse l’artista libanese più affermata internazionalmente, è residente a Londra e qui presenta un suo video noto e molto bello sulla madre assente con cui ristabilisce un video-rapporto nella lontananza dovuta alla guerra. Akram Zaatari (già notato qualche anno fa alla Biennale di Venezia con una straordinaria installazione sulla memoria della guerra, Letter to a Refusing Pilot) presenta il video Beirut Exploded view. In un ambiente da fantascienza distopica due giovani hanno collocato alcuni sommari oggetti casalinghi e compiono gesti quotidiani e anonimi. Qualcuno passa attraverso queste case abbandonate ma curiosamente nuove. Scopriamo poi che si tratta di un lotto in cui le aziende immobiliari devono costruire un pezzo in scala delle costruzioni previste. In questa città fantasma, ovviamente disabitata, i modelli verranno poi distrutti una volta approvati. Quasi un doppio fantasma di una Beirut in cui si vive fino alla prossima guerra.
UNA PROMESSA DI VITALITÀ
Ma la vitalità libanese si esprime anche attraverso la musica, e la presenza di cd e immagini legate alla cultura musicale è la prova dei fermenti positivi che spingono la ricostruzione di Beirut, che diventerà presto una delle megalopoli medio-orientali. Fotografata, videoripresa, narrata, disegnata, studiata, la “Città in Guerra” si appresta a una grande rinascita. Nel lavoro di Stéphanie Saadé, A Map of Good Memories, la mappa è disegnata sul pavimento con foglie d’oro e attraversata dai suoi pensieri e azioni. Su questa mappa dorata e friabile il pubblico è invitato a camminare, cancellandone lentamente la fisionomia e ricreandone un’altra.
‒ Lorenzo Taiuti
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