Bouke De Vries – Sometimes I look east. Sometimes I look west

Informazioni Evento

Luogo
FONDAZIONE OFFICINE SAFFI
Via Giovanni Battista Niccolini, 35, Milano, MI, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

Dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 18.30.
Sabato dalle 11 alle 18. Domenica su appuntamento.

Vernissage
23/01/2018

ore 18,30

Artisti
Bouke De Vries
Generi
arte contemporanea, personale

La pratica dell’artista olandese, di stanza a Londra, Bouke de Vries riflette perfettamente il nostro tempo, nutrendosi del paradosso contemporaneo della bellezza: una ricerca spasmodica di unicità e perfezione avviluppata alla banalizzazione estetica del consumismo.

Comunicato stampa

Dal 24 gennaio al 14 marzo Officine Saffi è lieta di presentare la mostra personale di Bouke De Vries.
La pratica dell’artista olandese, di stanza a Londra, Bouke de Vries riflette perfettamente il nostro tempo, nutrendosi del paradosso contemporaneo della bellezza: una ricerca spasmodica di unicità e perfezione avviluppata alla banalizzazione estetica del consumismo. Tale visione nasce dalla sua esperienza come restauratore di ceramiche. De Vries punta il suo sguardo artistico sul modello culturale occidentale secondo cui la rottura di un oggetto ne comporta automaticamente il suo scarto. Anche chi si occupa di preservare le opere d’arte sceglie spesso di cancellare il più possibile la memoria del trauma subito. Egli invece si sente più vicino alla sensibilità della tradizione cinese e giapponese di riparare importanti artefatti in modo che la rottura sia celebrata, piuttosto che nascosta. “Un oggetto danneggiato può ancora essere bello così come un oggetto perfetto” ragiona de Vries.
Un gioco di opposti che si rincorrono come nel titolo della personale milanese dell’artista “Sometimes I look east and sometimes I look west”. Silenziose, meditative ma al contempo ingegnose e sovversive, le sculture di de Vries offrono una seconda opportunità narrativa a manufatti dalla fattura squisita, come un vaso cinese a bozzolo in terracotta di epoca Han (206 a.C.–220 d.C.), che per un urto si è mutato in pochi istanti da feticcio a coccio. De Vries decostruisce nello spazio questi antichi frammenti, dando loro una nuova simbologia. Lo sciame di farfalle che circonda il vaso nell’opera “Resurrectio Jar”, da un lato allude alla forma a bozzolo del vaso, dall’altro al loro uso iconografico come simbolo di resurrezione nelle famose nature morte del Secolo d'Oro olandese.
In questa mostra Cina ed Olanda sono i poli estremi della sua narrazione. La prima è letta come forza trainante della manifattura della ceramica, la seconda, oltre che la sua patria, è la nazione che ha raggiunto la potenza mondiale nel XVII secolo, grazie proprio agli scambi commerciali con l’Oriente in preziose porcellane ma anche in maioliche di Delft, che, a loro volta, erano spesso ispirate da originali cinesi. L’interesse di de Vries tuttavia non si esaurisce esclusivamente in una riflessione sulla genesi di manufatti in ceramica, sulle loro forme, i loro usi e simbologie. La sua curiosità intellettuale abbraccia approfondimenti storici e sociologici del contesto in cui - ieri come oggi - questi vengono realizzati o scambiati. Seguendo tale prospettiva la rinascita della Cina a superpotenza globale diviene uno dei temi più affascinanti e urgenti. De Vries sembra voler ricordare il monito di Napoleone Bonaparte: “Lasciate dormire la Cina, perché al suo risveglio il mondo tremerà”. Nella produzione dell’artista ritorna costantemente la lezione dei maestri fiamminghi de Heem, Kalf, van Alst e van Huysum nei cui dipinti il vasellame di uso comune - come lattiere, teiere, o scolapiatti - è intriso di riferimenti alla vanitas e al memento mori. Frutti, fiori e i piccoli insetti che li accompagnano erano, infatti, funzionali a tracciare velati riferimenti etici e spirituali.
Così, tra parallelismi e asimmetrie, rebus estetici trovano in de Vries soluzioni inaspettate. Come accade in “Two Tang soldiers” opera composta da una coppia di soldati in terracotta della dinastia Tang (618-907). Uno presenta il tipico colore terroso e l’aspetto al momento del suo ritrovamento archeologico, mentre l’altro è dipinto dall’artista con accesi colori primari. Sebbene lo spettatore moderno sia abituato ad ammirare oggetti antichi, come i marmi greci per esempio, apprezzandone il candore e la semplice purezza, in realtà queste opere erano spesso originariamente dipinte con colori sgargianti. La stessa cosa accade quando si ammirano le sfumature fangose di questi manufatti in terracotta provenienti dalla Cina. Appaiando le due figure di soldati si riflette sulla percezione estetica odierna di queste opere in relazione al momento della loro creazione. De Vries sembra non prendere una posizione sottolineando invece come la storia del gusto proceda dialogando ininterrottamente con la storia dell’arte e che un’estetica apparentemente kitsch possa essere rivelatrice di una profonda verità nascosta.
Se i lavori de Vries si presentano sotto forma di esplosioni, bruciature, destrutturazioni o al contrario sono ricomposti utilizzando la tecnica kintsugi - la pratica giapponese di usare l’oro per saldare i frammenti di oggetti in ceramica - la qualità di esecuzione è ciò che contraddistingue ognuna di queste lavorazioni. “C’è stato un tempo - dice de Vries - in cui la qualità non era considerata parte integrante di un’opera d’arte contemporanea: era l’idea il parametro essenziale per il suo successo. Ma ora penso ci sia un ritorno a una visione dell'artista come di un produttore, come qualcuno che possieda una particolare abilità creativa che gli permette di dar vita ad opere sublimi”. Questo non vuole dire rigettare la lezione del contemporaneo che, al contrario, nella sua opera viene esaltata attraverso innumerevoli citazione dadaiste, surrealiste e pop. In un remix estetico in cui ispirazioni tratte dal mondo della cultura alta si scontrano con quelle della cultura bassa, si passa da un riferimento alla regina egizia Nefertiti (“Egypt”, 2013) fino ad arrivare a I Simpson (“Marge Simpson as Guan Yin Goddess of Compassion”, 2014).
Ogni scultura di de Vries pur entrando in relazione e dialogando con ogni altro suo lavoro rimane essenzialmente un pezzo unico. Proprio per questo l’artista non si avvale di uno studio ma crea da sé ogni singola opera lavorando sulla composizione, cercando di raggiungere un equilibrio formale ed estetico. In questo senso è rilevante il lavoro di maggior dimensione in mostra “The Wall 2”. Un'installazione di maioliche bianche di Delft ispirata alle composizioni di porcellane dell’architetto francese, ma naturalizzato olandese, Daniel Marot, che con i suoi elaborati progetti per interni ha contribuito a definire lo stile decorativo in Europa tra il tardo XVII e il primo XVIII secolo.
E’ particolarmente degno di nota che Marot abbia reso uno status symbol gli intricati display di collezioni di porcellane cinesi bianche e blu. Già nel 2012 de Vries era stato chiamato a realizzare un’opera monumentale inspirata a Marot dal museo inglese Pallant House Gallery a Chichester, che gli commissionò la creazione di un’installazione site specific per lo scalone d’onore del museo. L’installazione temporanea “Bow Selector” composta di quattro pannelli consecutivi esponeva in maniera assolutamente unica la preziosa collezione di quasi trecento pezzi di Porcellana di Bow (attiva a Londra tra il 1747 e il 1764) di proprietà di Pallant House. Di contrasto De Vries sceglie volutamente per “The Wall 2” solo frammenti di maioliche bianche di Delft, salvati da antichi cumuli e fondi di canali. Questi oggetti non erano celebrativi ma riservati all’uso quotidiano, è l’artista che ora conferisce loro un nuovo status culturale.
In questo e in altri lavori in mostra i resti archeologici sono il punto di partenza per una nuova narrativa. Forse un giorno anche loro spariranno nella terra e forse saranno ritrovati in un futuro inimmaginabile. Che storie allora rievocheranno?

From 24th January to 14th March 2018 Officine Saffi is pleased to present Bouke de Vries solo show.
The practice of London-based Dutch-born artist Bouke de Vries perfectly reflects our time, feeding on the contemporary paradox of beauty: a spasmodic research of uniqueness and perfection wrapped in the aesthetic banalization of consumerism. His artistic vision stems from his own experience as a ceramics conservator. De Vries refutes the underlying western attitude that once something is broken it is only fit to be discarded. Even those who take care of preserving works of art often choose to disguise as much as possible the memory of the suffered trauma. Instead he considers himself closer to the Chinese and Japanese tradition of repairing important objects so that the breakage is celebrated, rather than hidden. “I want to give these objects, which are regarded as valueless, a new story and move their history forwards,” he has said. “A broken object can still be as beautiful as a perfect object,” he adds, citing the Venus de Milo, armless but still venerated.
A game of opposites that chase each other, as in the new Milanese exhibition by the artist titled "Sometimes I look east, sometimes I look west". Quiet, thoughtful but at the same time witty and subversive, de Vries’s sculptures offer a second narrative opportunity to exquisite objects, such as a Cocoon Jar from the Han Dynasty (206 BC-220 AD), which changed its essence in a few moments from fetish to potsherd. De Vries skillfully deconstructs these ancient fragments, giving them a new symbolism. The swarm of butterflies surrounding the pot in "Resurrection Jar" alludes on the one hand to the cocoon shape of the vase, and on the other to their iconographic use as a symbol of the resurrection in the famous still lifes of the Dutch Golden Age. China and Holland are the extreme poles of his narration. The first seen as the driving force of ceramics manufacture throughout history, the second, as well as his home country, a nation that reaches world power in 17th century, via their trade with the east. Ceramics played a pivotal role in this, not only porcelain from China but also Dutch Delftware, much of it inspired by Chinese porcelain. However, de Vries's interest is not limited to a reflection on the genesis of ceramic products, their forms, their uses and symbols. His intellectual curiosity embraces historical and sociological insights into the context in which – yesterday as today – these are realized or exchanged. Following this perspective, the rebirth of China as a global superpower becomes one of the most fascinating and urgent themes. De Vries reminds us of Napoleon Bonaparte's warning: “China is a sleeping giant. Let her sleep, for when she wakes she will move the world.” The artist's work constantly reiterates the lesson of the Dutch masters de Heem, Kalf, van Alst and van Huysum, in whose paintings common pottery – milk jug, teapot or cress drainer – is imbued with references to vanitas and memento mori. Fruits, flowers and the small insects that accompany them were, in fact, indicators of veiled ethical and spiritual references. In his oeuvre aesthetic conundrums find unexpected possible interpretations. In "Two Tang Soldiers" one of the pair of Tang dynasty (618-907) terracotta soldiers presents the typical earthy color and appearance of an archaeological find, while the other is painted by the artist with bright primary colors. Although the modern viewer is used to look at ancient objects – like, most famously, Greek marbles – in all their monochrome beauty, pure and white, in fact these pieces were originally painted, often in colours now considered garish. The same is true with the muddy nuances of these terracotta artifacts from China. Pairing these two soldiers reflects on today's aesthetic perception of these works in relation to the moment of their creation. De Vries does not take a position, but contrasts how the history of taste proceeds in an uninterrupted dialogue with the history of art; an apparently kitsch aesthetic can reveal a profound hidden truth. Artworks by de Vries may be exploded, combusted, destructured or, on the contrary, recomposed using the kintsugi technique – the Japanese practice of using gold to reconnect the fragments of ceramic objects – the quality of execution is what distinguishes each of these technics. "There was a time,” says de Vries, “when quality was not considered an integral part of a contemporary work of art: the idea was the essential parameter for its success. But now I think there is a return to a vision of the artist as a producer, as someone who possesses a particular creative ability that allows him to give life to sublime works.” This does not mean rejecting the lessons of the contemporary that in his work is exalted through countless Dadaist, Surrealist and Pop quotes. In an aesthetic remix in which inspirations drawn from the world of high culture clash with those of low culture, we move from the Ancient Egyptian Queen Nefertiti ("Egypt" 2013) to The Simpsons ("Marge Simpson as Guan Yin Goddess of Compassion" 2014). Each sculpture by de Vries, while maintaining a dialogue with all his other works, remains essentially a single piece. This is one reason why the artist does not make use of assistants but creates every single work by himself. His sculpture is much about composition, balance and aesthetic. A lot of it develops in fieri as he works on it. In this context the largest work on show, "The Wall 2," is especially relevant. An installation of white Delftware inspired by the French-born, Dutch architect Daniel Marot, whose elaborate interior designs helped define the decorative style of Europe in the 17th and 18th centuries. Marot’s wall schemes of blue and white Chinese porcelain were a status symbol of the time. In 2012 de Vries was invited to create a monumental work inspired by Marot by the English museum, Pallant House Gallery in Chichester, who commissioned him to create a site-specific installation for the museum's grand staircase. The temporary installation "Bow Selector" comprised four consecutive panels presenting in a unique and innovative way the museum’s precious collection of almost three hundred pieces of Bow Porcelain (London, 1747 to 1764). By contrast, for "The Wall 2" de Vries deliberately chooses only fragments of Delftware, saved from centuries old rubbish tips and dredged from the bottom of canals. These objects were not celebratory but kept for everyday use: it’s the artist who now gives them a new cultural status.
In this and other works on show the archaeological remains are the starting point for a new narrative. Perhaps one day they too will disappear into the earth and perhaps will be found in an unimaginable future. What stories will they tell then?
- Curatorial essay by Fabrizio Meris

The exhibition will run until March 14th 2018