Vittorio Fagone. Il ricordo di Renato Barilli
A pochi giorni dalla scomparsa di Vittorio Fagone, Renato Barilli dedica un intenso ricordo all’amico e collega. Evocandone le imprese, dall’editoria alla curatela.
Il 2018 è iniziato in modo disastroso per il mondo dell’arte. Ho già ricordato le scomparse di Gualtiero Marchesi, appartenente alla categoria dei grandi cuochi ma pure vicino al mondo dell’arte, e di Mauro Staccioli, presenza immancabile in ogni parco di sculture all’aperto. Ora è doveroso che io parli pure di un caro amico e collega come Vittorio Fagone, mentre già si profila l’ombra di un altro scomparso eccellente da ricordare, Valentino Vago. Sono stato legato a Vittorio da uno stretto rapporto in un’impresa di cui mi pare si sia perso il ricordo. Bisogna risalire alla fine degli Anni ’70, quando sindaco di Milano era Carlo Tognoli, figura molto amata dai cittadini ambrosiani, che non lo hanno rinnegato nella triste ora degli scandali di Mani pulite e hanno continuato ad affidargli incarichi importanti. Come sindaco, aveva pensato a una soluzione ben articolata per il programma milanese nelle arti visive, non dando tutto il potere a una figura istituzionale quale Mercedes Garberi, direttrice delle raccolte civiche, ma affiancandole un comitato di esperti, anche se la soluzione, come a quei tempi appariva indispensabile, nasceva nel nome della partitocrazia. Io, allora molto vicino a Craxi tramite il suo braccio destro di quei tempi, Claudio Martelli, vi rappresentavo il PSI. C’erano pure Flavio Caroli, che allora batteva bandiera PCI, e Fagone, che si poneva all’estrema sinistra dell’arco politico. Non poteva mancare pure un rappresentante della Dc, nella persona dell’architetto Morello, che però esercitò il suo ruolo molto ai margini. E dunque, la maggiore responsabilità pesava sul nostro trio, cui si dovette il rilancio del secondo piano del Palazzo Reale, fin lì squallidamente avvilito per funzioni burocratiche.
“Se non ci fosse stato il suo appoggio, unito a quello del suo collega Aldo Tagliaferri, io forse non sarei mai riuscito a far accettar il mio saggio “Arte contemporanea”, che ancora oggi tiene degnamente un posto in tutti gli scaffali delle Librerie Feltrinelli“.
Noi lo rilanciammo con tre mostre di stringente attualità, io vi proposi Pittura ambiente, adatta alle molte stanze di quel luogo, ognuna delle quali poteva ospitare un “ambiente”, dove il ritorno alla pittura, allora nell’aria, si fondeva con una opportuna soluzione spaziale. Caroli puntò su una rassegna di poesia visiva e affini, Fagone vi dimostrò la sua vocazione per la videoarte e altre forme alternative, che anche in seguito sarebbero state tra i suoi interessi più rilevanti. Mi permetto di osservare che quel nostro rilancio non è affatto caduto nel vuoto. Quando, con la caduta del governo del Garofano, noi venimmo destituiti, la Garberi ne approfittò per collocare in quelle stanze l’abbondante raccolta di opere contemporanee del Comune, secondo una tendenza ora confermata dal Museo del Novecento, che dal corpo centrale dell’Arengario, in verità molto angusto, ha tentato un allargamento lanciando proprio una passerella verso quella provvida suite di sale, che però restano insufficienti, fermando la raccolta appena agli Anni ‘70. Ma l’impresa più notevole condotta a termine dal nostro comitato è stata il concepimento e la realizzazione della mostra Annitrenta, che ha sdoganato tutta la produzione nata in quel decennio dell’era fascista, contribuendo in modo decisivo a scindere i meriti artistici di quella stagione da una sudditanza che erroneamente si credeva totale e soffocante alle imposizioni del regime. Credo che quella mostra resti uno dei più bei successi di tutta l’attività espositiva ambrosiana del dopoguerra.
DALL’EDITORIA ALLA CURATELA
Frattanto, a livello professionale, Fagone era entrato nella redazione della Casa editrice Feltrinelli, e anche su questo fronte molto stretti furono i nostri rapporti. Se non ci fosse stato il suo appoggio, unito a quello del suo collega Aldo Tagliaferri, io forse non sarei mai riuscito a far accettar il mio saggio Arte contemporanea, che ancora oggi tiene degnamente un posto in tutti gli scaffali delle Librerie Feltrinelli. Ma purtroppo venne una crisi finanziaria che mise a rischio la sopravvivenza di quella Casa, e causò comunque la fuoriuscita sia di Fagone che di Tagliaferri. Dopodiché Fagone ha preso la strada della curatela di istituzioni pubbliche, contando sia sulla sua solida conoscenza della nostra arte soprattutto del periodo “tra le due guerre”, sia sui nuovi media, il che fra l’altro gli ha meritato il prestigioso inserimento nel comitato direttivo della Documenta 1987, un riconoscimento che credo sia capitato a ben pochi altri studiosi di casa nostra. Come “curator” si devono ricordare i suoi incarichi successivi, dapprima a Bergamo, alla GAMEC, Galleria d’arte moderna e contemporanea, quindi alla Fondazione Ragghianti di Lucca. In entrambe quelle sue funzioni egli non ha mai mancato di invitarmi, sia per visitare e recensire le mostre ivi da lui organizzate, sia per tenervi conversazioni. In conclusione, con lui è una ulteriore quota parte della mia esistenza e carriera che se ne va.
‒ Renato Barilli
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