La app di Google che cerca la vostra faccia nei dipinti. Scatta la caccia al sosia artistico
La funzionalità non è ancora disponibile in Italia, ma il colosso di Mountain View promette di allargare i confini molto presto. Nel frattempo, ecco una gallery delle somiglianze più azzeccate.
A chi non è capitato almeno una volta di riconoscere un volto noto in un’opera d’arte? Curiosando tra i tanti ritratti della storia dell’arte, non è raro scovare somiglianze con amici, parenti, personaggi famosi. O magari proprio con se stessi. E sono sempre più numerosi infatti i visitatori dei musei che pubblicano su Internet dei selfie scattati accanto al proprio “sosia su tela”, che si tratti di un re, un soldato, una madonna o un umile servitore.
Questo spiega l’incredibile successo della nuova app lanciata da Google, una funzionalità inclusa nel pacchetto Arts&Culture che, utilizzando un software di riconoscimento facciale, cerca nel suo vastissimo database (le collezioni di oltre 1200 musei di 70 paesi) e restituisce l’opera d’arte che vi somiglia maggiormente. Per utilizzarla basta scattarsi una foto, caricarla e attendere il responso, che viene fornito insieme a una percentuale, corrispondente al grado di fedeltà della somiglianza.
La funzionalità, che al momento risulta disponibile soltanto negli Stati Uniti, in Canada, Australia e India, ha scatenato una vera e propria corsa al doppelgänger, che ha coinvolto tantissime persone su Twitter, Facebook e Instagram, celebrity comprese.
LE PREOCCUPAZIONI PER LA PRIVACY
Tra l’entusiasmo generale, non sono mancate le voci più critiche, soprattutto dal mondo della programmazione. La app infatti, basandosi su un software di riconoscimento facciale, ha sollevato preoccupazioni per quanto concerne la privacy degli utenti e l’uso di dati sensibili. Dove finiscono tutte le informazioni che la app raccoglie? E cosa fa Google con i dati relaviti alle nostre facce? Interrogato sul tema, Patrick Lenihan, portavoce dell’azienda, ha specificato: “Google non usa i vostri selfie per nessun altro scopo oltre a quello dichiarato, ossia trovare i sosia nelle opere d’arte. Le foto vengono salvate solo per il tempo che serve per elaborare la richiesta”.
Si tratta tuttavia di una questione che già da tempo si pone come pressante, e che necessiterebbe senz’altro di una legislazione più chiara. Le applicazioni tecnologiche che si servono di sistemi biometrici per il riconoscimento facciale sono infatti numerosissime, e spesso sono all’opera anche quando non ce ne accorgiamo (ad esempio sono installate su quasi tutti gli smartphone, usate dai social network e incluse in servizi di photo storing e photo sharing molto utilizzati come Google Photos). Non sembra un caso, quindi (anche se Google non ha ancora rilasciato dichiarazioni in merito) che la app in questione non sia disponibile nei due stati americani, il Texas e l’Illinois, dove è in vigore una legge specifica chiamata Biometric Information Privacy Act, che costringe le aziende a informare le persone dell’uso dei dati biometrici che vengono raccolti, in alcuni casi addirittura con un documento scritto e firmato.
– Valentina Tanni
Hey this one ain’t so bad. pic.twitter.com/er0FxZNVO8
— Kumail Nanjiani (@kumailn) January 13, 2018
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