Il Fuji e Hiroshima. La fotografia di Carmelo Nicosia a Catania
Fondazione Brodbeck / Galleria Collicaligreggi, Catania ‒ fino all’8 aprile 2018. Gli scatti del fotografo catanese vanno in mostra nella sua città natale. Restituendo un’immagine del Giappone lontana dalle lusinghe degli “effetti speciali”.
La Fondazione Brodbeck, con l’attigua galleria Collicaligreggi, costituiscono un unicum a Catania. Quanto di più segreto e insieme mondano il capoluogo etneo riesce a esprimere. L’opening di Japan, flight maps era affollatissimo. Ma si capisce: Carmelo Nicosia è anche una gloria locale e la città gli ha reso omaggio. La mostra nasce da 8mila scatti di viaggio selezionati allo spasimo sino a stamparne 45, tra cui cinque blu, uno rosso e il resto in bianco e nero, con formati che variano tra 112 x 167cm 60 x 40 cm.
Nicosia da sempre ritrae città, luoghi di transito, mare, cielo e territori invisibili. Lo fa in linea con il linguaggio tradizionale della “fotografia di viaggio”, ma è sempre alla ricerca dello scatto meno proposto come opera d’arte. Catanese, 57 anni, ex direttore dell’Accademia di Belle Arti e attualmente direttore della Scuola di Fotografia e Video della medesima, in questi lavori ha azzerato gli “effetti speciali” della fotografia elettronica contemporanea, provando a guardare il mondo con l’occhio di un turista in Giappone.
DAL MONTE FUJI…
Ma Nicosia è irrimediabilmente un intellettuale. Perché tante stampe blu? “Perché il blu per la cultura giapponese è il colore della notte.” Quindi le magnifiche immagini notturne dei grattacieli di Tokyo (riprese come dietro il vetro di una camera d’albergo) sono blu. Perché una stampa rossa? “Per rendere omaggio a fotografi ‘notturni’ e ossessionati dal sesso come Daydo Moriyama o Araki”. Perché tre volte il Fuji ritratto come si trattasse di una vecchia stampa ingiallita? “Perché il Fuji per la cultura giapponese è una sorta di divinità e ho voluto rappresentarlo in una connotazione mitologica. Dopo aver scattato centinaia di foto ho ripiegato sulla post produzione di negativi scovati da anonimi del secolo scorso e solo così ho sentito di aver raggiunto quel che mi ero prefisso”, risponde Nicosia.
… A HIROSHIMA
C’è un’appendice (o forse è un’introduzione) per niente trascurabile all’esposizione di Nicosia nel grande spazio della Fondazione Broadbeck. Sono quattro lavori appesi al muro dell’attigua galleria Collicaligreggi. Nessuno scatto originale, ma composizioni monocromatiche, ognuna formata da nove piastrelle che ripetono la stessa immagine. Nicosia ha scovato le matrici sul web: il fungo atomico di Hiroshima, il caccia bombardiere che ha sganciato l’ordigno, il ritratto di una bambino sfigurato delle radiazioni e quello di un kamikaze 15enne. Che c’entra tutto questo con le immagini scattate per lo più tra Tokyo e Kyoto esposte poco più in là?
“Per varie ragioni non sono mai riuscito a visitare il Museo di Hiroshima, ma il pensiero della bomba non mi abbandona mai. Non si può parlare di Giappone senza ritornarci. Per la mia generazione l’atomica è stata vittima di una rimozione, una sorta di fantasma… Mishima da giovanotto non si poteva leggere, era all’indice, considerato alla stregua di un nazista. La bomba però è esistita, esiste e sta diventando un argomento di nuovo attualissimo. Sono certo di non essere l’unico a lavorare in questa direzione: so per certo di altri artisti che, con le stesse matrici con cui ho lavorato io, ognuno a suo modo, stanno rielaborando questo terribile episodio”.
‒ Aldo Premoli
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