Mercato. L’arte italiana cerca prospettive
Nonostante l’andamento globale del mercato dell’arte registri una tendenza positiva, sul fronte italiano gli entusiasmi sono più moderati. Complici prezzi esorbitanti e la conseguente diminuzione degli scambi.
Dai primi dati sul mercato globale dell’arte, il 2017 si chiude in maniera più positiva rispetto al 2016. Sebbene le difficoltà del segmento medio siano evidenti a tutti – gallerie che chiudono, case d’asta che “ristrutturano”, fiere alla ricerca dell’identità perduta – c’è un miglioramento dovuto a una conclusione d’anno positiva a New York, coronata dall’eccezionale vendita del Salvator Mundi di Leonardo da Vinci per 450 milioni di dollari. Alla fine di dicembre, Sotheby’s ha dichiarato una performance che cresce del 13% e Christie’s un miglioramento del 30%.
In Italia, tuttavia, l’aria è decisamente meno elettrica. Dopo più di quindici anni, l’operazione vincente di portare l’arte moderna e contemporanea italiana sui mercati internazionali ha spinto i prezzi degli artisti più ricercati e le opere migliori fuori dalla portata e dai desideri dei collezionisti italiani. Sia perché questo tipo di opere è già nelle collezioni italiane importanti, entrate per giunta a un costo nemmeno paragonabile, sia perché i collezionisti realmente attivi in Italia hanno sempre più spesso interessi verso le ricerche a loro contemporanee, quasi sempre non italiane. Inoltre si stanno esaurendo le “scorte”: chi ha opere importanti le tiene strette. Quando si considera il risultato aggregato – composto della somma delle opere d’arte moderna e contemporanea vendute dalle case d’asta in Italia – appare evidente che gli scambi siano diminuiti rispetto al 2016 almeno per valore, se non per numero di opere. Inoltre, è sceso il valore medio dei top lot: sempre più raramente le transazioni in asta superano il mezzo milione di euro.
UN RINNOVAMENTO NECESSARIO
Per uscire dall’impasse non ci sono ricette pronte da mutuare da qualche situazione congiunturale simile. Le case d’asta internazionali, che necessariamente hanno maggiori potenzialità nella “disseminazione dell’interesse”, dovrebbero continuare a rinnovare il catalogo in termini di artisti e tipologie di opere, assumendosi sicuramente un certo rischio di impresa, che però potrebbe essere ripagato nel futuro; le case d’asta nazionali potrebbero migliorare le performance essendo più competitive in termini di varietà di opere e per commissioni, confidando generalmente sul prezzo minore e quindi su un numero di collezionisti apparentemente in crescita. È tutta la filiera che dovrebbe armonizzarsi verso il rinnovamento, spartendosi segmenti di mercato che potrebbero trovare sostegno nelle reciproche e differenti politiche di vendita.
NUMERI E ASTE
Ma veniamo ai numeri delle sessioni invernali d’arte moderna e contemporanea. L’asta di Sotheby’s ha lasciato sul terreno 3 milioni di euro vendendo il 63% dei lotti del catalogo, totalizzando un venduto di € 7.7 (nel 2016 era stato di € 10.7). Nonostante opere interessanti, si confermano le stesse difficoltà percepite a ottobre a Londra. Vengono venduti alcuni Alighiero Boetti (top lot il raro arazzo bianco e nero del 1977-78, € 753.000), Fontana, Pistoletto, Scarpitta, Morandi e Castellani, mentre non trovano acquirenti Burri e Manzoni, fra gli altri. Record per Alik Cavaliere (€ 85.000) e per Leoncillo, la cui terracotta policroma del 1949 passa di proprietà a € 218.750. Farsetti ha raccolto due cataloghi suddividendoli in tre sessioni e comunica un risultato di 5 milioni di euro (superiore agli 800mila € del 2016) con il 60% di venduto. Il Ponte ha realizzato 2.6 milioni, vendendo il 72% delle opere. Il risultato è meno della metà rispetto all’eccezionale 5.4 milioni del 2016 e al 90% di lotti venduti sul numero complessivo, ma segnala tra gli artisti trainanti Bruno Munari, Piero Gilardi, Carol Rama e Carla Accardi. Cambi arriva al risultato complessivo di 1.9 milioni di euro, con una buona performance per Tano Festa (€ 105.000). Finarte vende 1.4 milioni di euro di opere aggiudicando il 60% dei lotti. Ha contribuito il disegno di Umberto Boccioni, Studio per testa + casa + luce (la madre) del 1912, aggiudicato per 99.000 euro. Pandolfini si ferma a 1.3 milioni, vendendo l’81% dei lotti e conseguendo i migliori risultati con Mimmo Rotella, Mauro Reggiani, Agostino Bonalumi e François Morellet. “Soddisfazione” a Milano in via Vivaio per il risultato di Itineris, la nuova casa d’asta che alla prima tornata ha totalizzato 1.04 milioni di euro, con una percentuale di venduto del 62%, top lot un Agostino Bonalumi del 1966 venduto a € 175.000 e un Yves Klein del 1959 aggiudicato per € 312.500. Wannenes ha migliorato il risultato conseguendo un totale di € 1.1 milioni, ma è peggiorata la percentuale di venduto, che quest’anno si è fermata al 47%; la casa d’asta genovese mette in evidenza Nuvolo, il cui Cucito a macchina del 1959 è stato ceduto a € 105.000, record per l’artista.
Altre case d’asta si stanno affacciando a questo settore e a quello limitrofo della fotografia (ad esempio Bolaffi, che ha saputo intercettare opere del tutto inaspettate rispetto al mercato delle aste italiane). Sarà interessante vedere quale identità e ambizioni si daranno per trovare la via d’uscita dal cul-de-sac in cui è il secondo mercato in Italia.
‒ Antonella Crippa
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #41
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