Armando Andrade Tudela – huesos de bambú
Mostra personale
Comunicato stampa
Caro Massimo,
perdonami per il ritardo. Scrivere questi appunti ha richiesto più tempo del previsto. La ragione è che ci sono state molte versioni di questa mostra e, di conseguenza, ogni tentativo di commentare e descrivere una versione definitiva risultava innaturale. Le considerazioni finali riguardano alcune di queste versioni più che le opere in sé, considerando che c’è ancora un’ultima iterazione da realizzare durante l’allestimento.
Prima di tutto c’è stata la tua visita al mio studio, che mi ha permesso di formulare una prima idea della mostra. Con questo in mente ho deciso di sviluppare certe idee che erano nascoste dietro ai lavori che tu e Alessandra avete visto. In quel momento in studio stavamo sviluppando un certo savoir faire in relazione a un nuovo gruppo di sculture in gesso, molte delle quali riguardavano i processi di compressione ed estensione della superficie degli oggetti. L’idea di stressare un materiale fino a quando riveli una reazione inaspettata era (ed è) al centro di molte opere e è stato un filo conduttore per la mostra. Così come l’idea che molti lavori nascano dal riassemblaggio di pezzi rotti.
A un certo punto durante la preparazione decido di andare a vedere la Gypsoteca Canoviana di Scarpa in modo da approfondire il rapporto tra gesso, supporto e spazio. Un gruppo di nuove idee nasce dalla relazione tra l’allestimento di Scarpa e le sculture di corpi e teste di Canova (a un certo punto ho immaginato una mostra sulla reciproca dipendenza tra il corpo e differenti oggetti che utilizziamo per sostenerci). Ho alterato il riferimento a Scarpa tracciando curve su un paio di suoi disegni, poi riprodotti a mano, anche solo per incoraggiare possibili imprecisioni. Il mio modo di affermare ciò che oggi è magari ovvio: tutto deriva dalla mestizaje*.
Dopo aver posticipato la data di apertura, ho avuto l’opportunità di rivedere ciò che era stato fatto e decido di estendere il processo. Stavo realizzando gli ‘acid works’ in tessuto denim che mi sono sembrati estremamente corporei e hanno un non so che di pittura post-bellica. Decido dunque di includere come parte della mostra un vero e proprio tessuto psico-geometrico che ho visto e comprato durante la mia permanenza in Perù lo scorso anno. Questi lavori vogliono essere molto leggeri, quasi precari, rappresentano in qualche modo i due emisferi che sempre sono presenti nel mio lavoro. Includendoli entrambi, ho tentato di creare una sorta di trappola dialettica in cui cadere muovendosi tra le opere: cose che provengono da direzioni differenti condividono lo stesso spazio. In effetti, questa è probabilmente la sola versione di huesos de bambú: la mostra come ‘trappola dialettica’.
Un abrazo e ci vediamo domani.
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p.s. Massimo, usa questo testo come vuoi.