Flavio Favelli – Via Guerrazzi 21
Durante il weekend di Arte Fiera 2018 sarà visibile per l’ultima volta l’ambiente Via Guerrazzi 21.
Comunicato stampa
Non c’è posto più fantasmatico di Via Guerrazzi 21.
Ho vissuto ventisette anni fra il primo e secondo piano in tre appartamenti di questo palazzo. Sono
venuto qui nel 1974. Mettendo insieme tantissimi momenti direi che alla fine ho passato qualche
settimana della mia vita a guardare il giardino interno, le palme a volte con la neve, i fiori del Calicanto
e quelli della Magnolia sempreverde.
Via Guerrazzi 21, insieme alla casa di Pavana, è il luogo dove si sono consumate tutte le faccende della
mia famiglia, una grande opera letteraria, dove sono stato un personaggio centrale; in fondo con me
finisce tutta la storia. Figlio unico e da dieci anni tutore, quasi a difendere e custodire poeticamente e
legalmente tutta questa roba.
Roba perché quello che rimane sono mobili, immobili, oggetti ed immagini di una vicenda infinita.
All’ultimo piano delle scale ripide e buie, ora tinteggiate da un colore da Soprintendenza, non mi
avventuravo mai perché abitava una strana persona, elegante e distinta, sempre con gli occhiali scuri
anche se era buio; il Signor B. era invertito come ammoniva mia nonna Tosca. Nell’altro appartamento
abitavano le Signorine S. due sorelle anziane quasi invisibili di Palermo che contribuivano al silenzio e
all’idea che l’eccezione confermava la regola: in centro a Bologna ci abitavano i bolognesi.
Il primo grande appartamento aveva i pianciti con la veneziana e i soffitti altissimi, uno era affrescato e
mio padre aveva messo due faretti colorati uno giallo e uno blu su un ripiano sopra lo stipite della
porta, a smalto lucido avorio, per dare un effetto scenografico. Una volta mia madre fece un pranzo per
cinque dei mie compagni della scuola media, anche se non ne capii mai il motivo. Da bere c’era
spremuta fresca servita in una brocca-thermos con l’interno in vetro e l’esterno in sughero, lavorata e
argentata. Prima di versare mia madre mescolò per un’ultima volta e il vetro scoppiò, un vetro quasi
specchio, marezzato con riflessi ottone. Una volta il nonno Carlo, marito di Tosca, mi rimproverò
perchè stavo mescolando il tè in senso antiorario. Non si mescola al contrario! mi riprese.
Tutto aveva un verso e un posto per lui, i piloni del mondo si reggevano con la precisa applicazione
delle giuste regole fra cui mescolare in senso orario. Regole chiare di differenti provenienza: buone
maniere, buon gusto, superstizione, Civiltà Cattolica e usanze borghesi.
Restai sempre col dubbio che mia madre, quella volta, mescolò in senso contrario, in modo invertito.