La danza catartica di Adrian Paci. A Firenze
Sedi varie, Firenze, Montelupo Fiorentino, Pelago ‒ fino all’11 febbraio 2018. L'artista albanese è al centro di una personale di grande spessore, che indaga nel profondo l'animo umano. Tra acqua e luce.
Adrian Paci (Scutari, 1969) torna a Firenze con un progetto molto ambizioso, toccando corde emozionali multiformi durante tutto il percorso di visita. Passa da una sfera di riflessione personale a una puramente ontologica e universalmente riconosciuta, esplorando a tutto tondo dinamiche sociali, etniche e di costume, sempre di grande attualità.
Il corpus di opere è dislocato in quattro sedi, il Museo Novecento e Le Murate per i capitoli fiorentini, mentre la Fornace Cioni Alderighi di Montelupo Fiorentino e la Ex Fabbrica Tappeti a Pelago sono le due sedi industriali scelte per coinvolgere la dimensione collettiva e di codifica popolare dell’area metropolitana del capoluogo toscano.
MIGRAZIONE E MOVIMENTO
L’intera produzione ruota intorno alla videoinstallazione Di queste luci si servirà la notte, realizzata per l’occasione con una poetica performance pubblica sul fiume Arno. L’acqua, simbolo e sintesi del destino umano, flusso continuo e costante divenire, materia che nasconde e svela, elemento di separazione, di contatto e di transizione. Paci sviscera la condizione umana della migrazione, del movimento incessante attraverso la metafora del fiume, un transito senza fine. Una commistione di ricordi personali e memoria popolare che ridisegnano significati nella torbidità attraverso le luci. Luci che affondano nelle acque buie e, come radici, nutrono la superficie in un rinnovato confronto esistenziale.
DOLORE E RIFLESSIONE
L’opera è in continuo dialogo con altre due videoinstallazioni che offrono la possibilità di misurarsi con le due dimensioni più esasperate dall’artista. The column (2013) dipinge, attraverso il viaggio senza meta di un blocco di marmo da Oriente a Occidente, un importante spaccato sull’identità e il lavoro. Estratto in una cava cinese, il blocco, durante la migrazione su una nave, diventa una colonna classica, modellata dal lavoro collettivo. La trasformazione culturale durante una situazione migratoria è qui espressa in una sublime sintesi che plasticamente modella il senso collettivo e l’animo umano. In opposizione The Guardians (2015), si concentra su una realtà limitata. Un microambiente che funge da ponte con il personale passato di Paci, il cimitero di Scutari, sua città natale. Alcuni bambini sono impegnati a lavare le tombe dopo la fine della dittatura; un processo catartico nel quale l’acqua è protagonista di un radicale cambiamento, un cambio di passo che rinnova e conferisce nuovi significati alla relazione tra la vita e la morte.
Paci è dolore, riflessione e movimento. I suoi lavori sono un battito oscillante tra la dimensione personale e quella dell’umana specie. Un principio primo caratterizzato da un’indole di religiosità laica che porta a una tensione infinita verso un continuo rinnovamento sia interiore che sociale.
‒ Davide Merlo
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