L’appello di Renato Barilli a Paolo Baratta
Accorato appello – l’ennesimo – di Renato Barilli a Paolo Baratta, presidente de La Biennale di Venezia. Affinché l’Italia torni al Padiglione Centrale dei Giardini, in quello che fino a poco tempo fa si chiamava per l’appunto Padiglione Italia.
Paolo Baratta, ormai quasi un presidente a vita della Biennale di Venezia, ha proceduto in fretta e furia, senza troppe consultazioni e conciliaboli, a nominare il prossimo direttore del settore arti visive nella persona di Ralph Rugoff, che non saprei in quale categoria mettere, se tra i “curators” o i critici e saggisti, forse una via di mezzo. Quel che è certo, è che si tratta ancora una volta di uno straniero che non mi pare si sia mai interessato ad aspetti o protagonisti della nostra arte. Non è che si debba fare gli chauvinisti, del resto anche qualche italiano, si pensi ai casi di Carolyn Christov-Bagarkiev e di Massimiliano Gioni, hanno ricevuto importanti riconoscimenti internazionali. Ma prendere uno straniero praticamente digiuno di cose nostre, che magari considera decisamente inferiori, non è una buona partenza per difendere le nostre possibilità, compromesse proprio da simili scelte esterofile considerate praticamente inevitabili, le uniche che funzionano. Io non sono particolarmente favorevole ai nostri critici della generazione di mezzo, però Ludovico Pratesi, Giacinto Di Pietrantonio, Marco Meneguzzo, per non parlare del più anziano Bruno Corà, potrebbero tirar fuori idee e progetti stimolanti, dando alla nostra presenza nel mondo una più equa attenzione, senza ricorrere sempre ai “poteri forti” del triangolo anglo-franco-tedesco.
“È ora di ritornare a un uso seguito per decenni, quando cioè un’ala del padiglione italiano era riservata ai nostri rappresentanti. Perché ci degradiamo per primi, non considerandoci degni di sedere a mensa in posti che contano, e andando invece a occupare sedi remote, fuori mano?”
Mi piacerebbe vedere proposte arrischiate, scelte non conformiste, lancio di giovani fuori dal coro, il tutto, soprattutto, alla luce di un tentativo di cogliere trend, indicazioni generali. Di queste il critico si deve preoccupare, fiutando l’aria e cercando di stabilire “che tempo che fa”, e su una strada del genere non ritengo che le nostre forze critiche siano handicappate o deficienti. Un altro modo di tutelare le sorti dell’Italia artistica Baratta ce lo avrebbe, si può però scommettere che non ne farà niente. Si è più volte sollevato un coro di voci per chiedere che la partecipazione italiana ritorni nel padiglione centrale, senza lasciarlo alla discrezionalità di questi vati stranieri, preoccupati solo di sbagliare, di immettere in mostra personaggi non raccomandati dai loro pari grado, non in possesso di un pedigree come si conviene. È ora di ritornare a un uso seguito per decenni, quando cioè un’ala del padiglione italiano era riservata ai nostri rappresentanti. Perché ci degradiamo per primi, non considerandoci degni di sedere a mensa in posti che contano, e andando invece a occupare sedi remote, fuori mano? Sarebbe un grande passo avanti, un simile gesto di coraggio. Altrimenti non lamentiamoci nel constatare che la nostra arte non sfonda, non viene apprezzata, se noi per primi ci mettiamo in un angolo.
‒ Renato Barilli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #41
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