Gulf Area #1. Il tempo di Abu Dhabi
Abbiamo dato il via a un breve ciclo di reportage dal Golfo Persico. Vi racconteremo cosa sta succedendo in due dei setti emirati riuniti negli Emirati Arabi Uniti e a Doha, capitale del Qatar. Iniziando da Abu Dhabi, naturalmente, visto il suo recente exploit: a novembre con l’inaugurazione del “distaccamento” del Louvre, e pochi giorni dopo con l’acquisizione per 450 milioni di dollari del Salvator Mundi attribuito a Leonardo da Vinci.
C’è chi la definisce la Miami del Golfo Persico. Eppure pensare ad Abu Dhabi semplicemente nei termini di imitazione e modello è oltremodo riduttivo. Significa non tenere conto di quel mix di fattori economici, politici, culturali che hanno trasformato un’enorme distesa di sabbia in una delle città più avveniristiche del pianeta. E, fatto ancora più incredibile, in una nuova frontiera dell’arte e dell’architettura contemporanea.
Lì dove oggi sorge una schiera di grattacieli su una lingua di terra sospesa tra deserto e Golfo Persico, fino agli Anni Settanta non esisteva neanche una strada asfaltata. Oggi Abu Dhabi, capitale degli Emirati Arabi Uniti e capoluogo dell’emirato omonimo, è una metropoli da 1.6 milioni di abitanti di cui solo il 20% sono arabi, mentre il resto della popolazione è composto da expat, un mix di europei, americani e asiatici che si trasferiscono qui, nonostante il clima tendenzialmente infelice, attratti dai buoni stipendi e soprattutto dal fatto che non si pagano tasse.
OIL ECONOMY
Immaginata negli Anni Settanta come una città destinata ad accogliere 600mila abitanti, Abu Dhabi ha triplicato i suoi abitanti nel giro di trent’anni. Questo ha prodotto una corsa all’edificazione probabilmente meno appariscente rispetto alla vicina Dubai, ma sicuramente più complessa, spinta dai tanti, tantissimi soldi provenienti dal petrolio, vero motore dell’economia della regione. La sola Abu Dhabi possiede il 9% delle riserve di petrolio del pianeta e il 5% di gas naturali.
Tutte luci, dunque, e nessuna ombra? Assolutamente no. La caduta improvvisa dei prezzi del greggio nel 2015 ha mostrato tutta la fragilità di un’economia basata sulla dipendenza dal petrolio, bloccando tutti i cantieri in corso e rendendo più urgente quel processo iniziato negli Anni Zero, che ha spinto il governo a trovare possibili strade alternative. Parola d’ordine: diversificare per distaccarsi dalla volatilità del mercato del greggio. E dopo aver fondato le migliori compagnie aeree del pianeta, aver comprato squadre di calcio europee come il Manchester City e aver attratto turismo sia d’élite che di massa in luoghi considerati per tradizione inaccessibili, ecco che è sul piano culturale che si gioca la partita più interessante.
L’OCCIDENTE COME BRAND
Con un investimento economico notevole, Abu Dhabi punta a diventare uno dei più importanti poli culturali del pianeta e il punto di riferimento intellettuale di tutto il mondo arabo. A differenza della vicina Dubai, che arranca dopo due decenni spesi a costruire in maniera bulimica resort e grattacieli sempre più alti, Abu Dhabi, ora che il prezzo del petrolio è tornato a salire, vive la sua stagione migliore grazie alle partnership internazionali in campo culturale, necessarie per costruire la sua nuova identità.
Perché se i soldi sono sempre tanti, quello che manca è il know-how, quell’insieme di conoscenze e capacità che è ancora appannaggio dell’Occidente. Ed è per questo che il fondo d’investimento Mubadala, di proprietà del governo degli Emirati Arabi Uniti, ha aperto la sua prima sede negli Stati Uniti, scegliendo non New York né Washington, ma San Francisco e la Silicon Valley, cuore della rivoluzione hi-tech americana. Stesso approccio sul piano culturale. E, naturalmente, dell’edilizia museale.
SAADIYAT ISLAND
Il più grande successo di Abu Dhabi, che proietta la città in nuova capitale dell’arte e dell’architettura 2.0, è Saadiyat Island, in arabo “isola della felicità”, un’enorme oasi di terra artificiale destinata a diventare una delle mete più trendy del futuro. Collocata in mezzo al mare, a cinquecento metri dalla costa, Saadiyat Island accoglie i progetti realizzati da cinque dei più importanti architetti del mondo, tutti vincitori del Pritzker Architecture Prize, il premio più prestigioso per l’architettura.
Qui sorgeranno il Guggenheim Museum disegnato da Frank Gehry, lo Zayed National Museum di Norman Foster, in partnership con il British Museum, il Performing Arts Centre di Zaha Hadid, il Museo del Mare di Tadao Ando. Tutto l’insieme darà vita al Saadiyat Cultural District, con la maggiore concentrazione al mondo di musei per metro quadro.
E visto che, oltre l’arte, è importante anche l’entertainment, sull’isola ci sarà il Saadiyat Beach Golf Club, lussuoso golf club sul mare, disegnato da Gary Player.
IL LOUVRE SULLA SABBIA
Con un ritardo notevole rispetto ai tempi previsti, dovuto alla grave crisi del greggio del 2015, che ha fatto crollare i prezzi della vendita al barile da 130 a 45 dollari, sull’isola è stato inaugurato a novembre 2017 il Louvre Abu Dhabi, filiale “araba” del museo simbolo francese, progettato da Jean Nouvel, già architetto dell’Institut du Monde Arabe a Parigi.
“Quando ho visitato in elicottero per la prima volta la zona nel 2006, appena ricevuto l’incarico”, racconta l’architetto, “l’isola era completamente deserta e apparentemente inospitale. Nonostante ciò, sapevo di voler costruire qualcosa che fosse completamente inserito in quel territorio. Sono infatti un architetto contestuale e non posso immaginare un’architettura che non sia profondamente legata al luogo in cui sorge”. Nouvel ha scelto di progettare il suo museo su una scala longitudinale insolita per gli Emirati, che invece hanno sempre puntato sullo sviluppo in verticale. 87mila mq suddivisi in 55 edifici bianchi che, per via della struttura tentacolare, ricordano la medina, il quartiere caratteristico di molte città del Nord Africa. Il bianco, la luce filtrata, le aperture modulate e l’acqua sono gli elementi utilizzati da Nouvel per dare carattere alla sua opera. La struttura è sormontata da una cupola, altro elemento cardine dell’architettura araba, che ha la funzione di filtrare la luce e modulare il caldo torrido della regione.
La vera sfida di Nouvel è stata quella di rendere il museo ospitale e attraente per i turisti, cercando di superare le difficoltà oggettive rappresentate dal clima. La risposta è stata la scelta di costruire il Louvre Abu Dhabi sul mare, non solamente per rispondere a un’esigenza scenografica ma anche per una funzione pratica. Ricreare cioè un microclima che permettesse di passeggiare piacevolmente negli spazi all’aperto del museo protetti dal sole, godendo di una sorprendente frescura senza ricorrere all’aria condizionata. Il bianco e la luce naturale tornano nelle gallerie interne, ampie, con aperture che filtrano la luce irradiandola nello spazio.
Jean Nouvel ha scelto di inserire le opere di due artisti internazionali in dialogo con la sua architettura: da un lato Germination (2017), un’installazione di Giuseppe Penone sulle interconnessioni tra uomo, natura e arte, che in verità un po’ si perde all’interno della maestosità dello spazio in cui è collocato; e dall’altro uno splendido bassorilievo in calcare realizzato da Jenny Holzer, For Louvre Abu Dhabi (2017), che celebra la storia del dialogo interculturale a partire da tre testi antichi risalenti agli Assiri e ai Sumeri. La collezione del museo conta 620 opere, di cui 300 sono prestiti provenienti da musei francesi e la parte rimanente della collezione del Louvre Abu Dhabi.
CULTO E CULTURA
Accanto alla pomposità dei megamusei che saranno inaugurati nei prossimi anni, non mancano realtà artistiche più piccole come Warehouse421, un ex magazzino industriale trasformato in centro culturale che ha aperto nel 2015, nel quartiere portuale di Mina Zayed, con lo scopo di supportare e incoraggiare artisti, designer e musicisti locali. Oltre alle mostre, lo spazio ospita workshop, concerti e conferenze.
Merita senza ombra di dubbio una visita la Moschea Sheikh Zayed, fatta costruire dallo sceicco Zayed, padre fondatore degli Emirati, e completata nel 2007. La moschea, che oggi rappresenta il monumento più noto e fotografato della città, con le sue ottanta cupole e i quattro minareti di marmo bianco è una delle più grandi e costose al mondo – oltre ad essere l’unica di tutta la regione aperta anche ai non-musulmani. È soprannominata la moschea dei record: dal lampadario più grande del mondo al tappeto più esteso, che ricopre l’intera superficie della sala preghiera ed è stato realizzato in Iran da oltre 1.200 artigiani.
MASDAR CITY E LE (POCHE) GALLERIE
A sei chilometri dal centro di Abu Dhabi sorge Masdar City, la prima città del pianeta a emissioni zero, costata già 18 miliardi di dollari e non ancora terminata – ma il cui cantiere può essere visitato. Progettata dallo studio di architettura inglese Foster + Partners, la città sarà totalmente green, senza rifiuti, senza auto e conterà esclusivamente sull’energia solare.
Negli ultimi anni hanno aperto ad Abu Dhabi alcune gallerie d’arte anche grazie al traino di Abu Dhabi Art, la fiera che si tiene ogni novembre. Finalizzate principalmente all’esposizione di artisti arabi e alla vendita di manufatti locali, le gallerie si stanno aprendo a poco a poco anche all’arte internazionale. Tra queste meritano una visita Etihad Modern Art Gallery, Salwa Zeidan Gallery, Ghaf Art Gallery e Hemisphere Design Studio & Gallery.
LEONARDO VA NEL GOLFO PERSICO
È stato ormai ufficializzato l’acquisto da parte del Louvre Abu Dhabi del Salvator Mundi di Leonardo Da Vinci, venduto per la cifra straordinaria di 450 milioni di dollari all’asta di Christie’s a New York, appena una settimana dopo l’inaugurazione del museo. L’opera, considerata “la più grande scoperta artistica del XXI secolo”, ha alle spalle una storia controversa che passa anche attraverso un lungo dibattito sull’attribuzione, dibattito che ha coinvolto i più grandi studiosi di Leonardo al mondo.
Il dipinto, un olio su tavola che rappresenta Gesù Cristo benedicente che regge un globo trasparente con la mano sinistra, è stato a lungo attribuito alla bottega di Leonardo e quindi venduto in varie fasi a prezzi notevolmente inferiori. È stato riconosciuto come un’opera di Leonardo solo nel 2011, quando il dipinto venne incluso nella grande mostra Leonardo da Vinci: Painter at the Court of Milan alla National Gallery di Londra. Sono tre gli studiosi internazionali che hanno confermato l’autenticità dell’opera: Pietro C. Marani e Martin Kempt, due tra i maggiori specialisti di Leonardo al mondo, a cui si aggiunge Nicholas Penny, direttore della suddetta National Gallery. Di parere contrario Carmen Brambach, esperta di pittura italiana del Rinascimento del Metropolitan Museum di New York, la quale sostiene che la maggior parte del Salvator Mundi sia stata “eseguita da Giovanni Boltraffio, assistente di studio di Leonardo, con qualche passaggio del maestro”.
A rendere complicato lo studio dell’opera, una serie continua di apparizioni e sparizioni del dipinto, che per un lungo periodo è stato addirittura considerato irrimediabilmente perduto. Il Salvator Mundi fu registrato per la prima volta nella collezione di Re Carlo I (1600-1649), per poi essere ereditato dal figlio Carlo II. Per oltre 140 anni non si seppe più nulla del dipinto e poi riapparve nel 1900, quando venne acquistato da Charles Robinson come opera di Bernardino Luini. Nel 1958 venne venduto a un’asta da Sotheby’s per 60 sterline. Non si sa chi fu l’acquirente in quell’occasione, perché l’opera scomparve per oltre cinquant’anni. Riappare nel 2005, acquistato da una piccola casa d’aste americana, ma l’exploit definitivo dell’opera arriva tra il 2011 e il 2012, in occasione della già citata mostra della National Gallery. Dopo anni di indagini e un accurato restauro, infatti, il dipinto è ufficialmente attribuito a Leonardo e nel 2013 è acquistato dal miliardario russo Dmitry Rybolovlev, ultimo proprietario dell’opera prima dell’asta di Christie’s, che l’ha comprato per la cifra stratosferica di 127 milioni di dollari.
PICCOLE FIERE CRESCONO
Abu Dhabi Art, la fiera d’arte della capitale degli Emirati Arabi che si svolge ogni anno a novembre, è piccola ma di carattere: ha saputo ritagliarsi in questi anni un’attenzione crescente e una buona reputazione, nonostante la vicinanza e la concorrenza spietata di Art Dubai, entrata ormai di diritto nel circuito dei grandi eventi fieristici internazionali.
Organizzata dal Department of Culture and Tourism di Abu Dhabi, che si occupa della promozione culturale della città, Abu Dhabi Art è fortemente sostenuta dal governo locale nell’ambito di un più ampio programma di promozione artistica volto a inserire la città tra le mete culturali internazionali. Hanno preso parte all’ultima edizione 46 gallerie provenienti da diverse aree geografiche, tra cui nomi di primo piano come Lisson, Marian Goodman, Sprüth Magers, Sean Kelly e le italiane Continua e Giorgio Persano, anche se rimane forte la predominanza di spazi espositivi orientali.
La fiera include anche un programma curatoriale piuttosto articolato, con progetti speciali dentro e fuori dagli spazi espositivi. Sette curatori internazionali, tra cui Cristiana De Marchi, propongono un programma di mostre che non si limita al solo tempo della fiera ma la attraversa accompagnandola fino all’anno successivo. L’evento collaterale più importante è Beyond, un programma annuale che commissiona agli artisti sculture e installazioni diffuse in città. Per l’ultima edizione sono stati scelti gli artisti Manal Al Dowayan, Magdi Mostafa e Nasser Al Salem, mentre per la sottosezione dedicata agli artisti emergenti, curata da Mohammed Kazem e Cristiana de Marchi, la scelta è ricaduta su Shaikha Al-Mazrou, Alaa Edris e Jumairy.
‒ Mariacristina Ferraioli
www.louvreabudhabi.ae
www.abudhabiart.ae
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #41
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