Fotografia e lavoro. Quattro artisti a Bologna
MAST, Bologna ‒ fino al 1° maggio 2018. La sede bolognese ospita i lavori fotografici degli artisti selezionati nell’ambito del MAST Foundation for Photography Grant on Industry and Work.
Ha fotografato il corso del fiume Po per più di tre mesi Sohei Nishino per realizzare la sua mappatura del fiume più lungo d’Italia. Dal Monviso, vetta che si trova al confine tra Italia e Francia e ai cui piedi vi è la sorgente del Po, ha raggiunto il Mar Adriatico, documentando i paesaggi ‒ con le loro diverse strutture abitative, industriali e agricole ‒ e gli abitanti che vivono nelle quattro regioni (Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto) attraversate dal corso d’acqua.
Nelle opere del fotografo giapponese linguaggi eterogenei come collage, cartografia, fotografia e psicogeografia si contaminano tra loro per creare un paesaggio che è contemporaneamente reale e immaginario. A un primo sguardo sembra di vedere la mappa di un luogo: ha lavorato su Amsterdam, San Francisco, Gerusalemme, il fiume Po, per ricordarne solo alcuni, ma, a una osservazione più approfondita, si notano particolari di abitazioni, architetture e ritratti che tradiscono la visione aerea. Metodologia che ricorda quella di Ino Tadataka, uno dei primi cartografi giapponesi, vissuto nel periodo Edo, che ha attraversato per anni il Giappone per disegnare la mappa del Paese.
“Prima di iniziare l’opera sul Po ho letto romanzi e testi lì ambientati, ho visto i film di Olmi, di Antonioni e ho ascoltato i racconti delle persone incontrate, per capire come il fiume influenzi le loro esistenze. Quando sono tornato in studio ho stampato personalmente le immagini analogiche e selezionato quelle digitali, e dopo diversi mesi ho composto la mia personale cartografia del fiume, che non delinea in modo pedissequo la forma del territorio, per seguire il mio ricordo e le mie impressioni”, ha affermato Nishino alla premiazione del concorso “Mast Foundation for Photography Grant on Industry and Work” di Bologna, dove è vincitore ex-equo con Sara Cwynar.
GLI ARTISTI
Giunto alla sua quinta edizione, il concorso vuole sostenere nuove generazioni di artisti attraverso la promozione e l’acquisizione delle loro opere. Oltre a Nishino e Cwynar sono stati selezionati Mari Bastashevski e Cristóbal Olivares, su una prima selezione di 35 candidati. Le loro opere sono esposte nella mostra collettiva, curata da Urs Stahel, ospitata nella PhotoGallery della Fondazione MAST.
Sara Cwynar, nata a Vancouver nel 1985, si occupa della percezione del colore in relazione all’industria cosmetica e ai sistemi tintometrici. Compone collage fotografici in cui immagini di pubblicità vintage di make-up degli Anni ’70 vengono rifotografate inserendovi le sue mani o altri oggetti. Al MAST presenta anche il video La fabbrica del colore, girato all’interno di un’azienda cosmetica e in uno stabilimento tipografico, in cui l’indagine sulla produzione industriale di colori è accompagnata da testi di Wittgenstein, David Batchelor, Henri Matisse. “Mi occupo di come le immagini popolari e le cromografie influenzino la nostra psiche”, ha precisato l’artista, “oltre del fallimento del linguaggio, perché nessuna parola riuscirà mai a descrivere la percezione personale del colore”.
ACQUA E CONFINI
Di Mari Bastashevski è presentato il progetto Emergency Managers, in cui analizza il tema della crisi idrica della città di Flint in Michigan, che ebbe inizio nel 2014, quando le fonti di approvvigionamento dell’acqua potabile furono trasferite da Detroit a Flint. L’avvelenamento da piombo della popolazione cittadina, soprattutto quella residente nell’area periferica in cui vivono afroamericani, si è sviluppato in seguito a scelte di amministratori locali e internazionali. La Bastashevski si occupa di controinformazione giuridica e di situazioni in cui le ingiustizie compiute su comuni cittadini diventano normali norme di comportamento. “Cerco di individuare e rendere visibili gli intrecci esistenti fra i poteri dello Stato e gli interessi dei privati. Un’indagine iniziata più di dieci anni fa con il progetto “State Business”, di cui è parte “Emergency Managers”” ha commentato l’artista.
Cristóbal Olivares si occupa di emergenze sociali in Cile, Paese in cui è nato nel 1988. Dopo la pubblicazione del libro A-MOR sul femminicidio e la violenza domestica in Cile, premiato come miglior libro fotografico dell’anno da POY Iberoamerica, negli ultimi anni ha documentato i fenomeni migratori. “Nella serie fotografica “Il deserto” mi sono occupato dei dominicani che entrano illegalmente in Cile. Intercettati dai trafficanti di esseri umani nel loro Paese d’origine, tramite offerte di viaggio con visti contraffatti, devono attraversare il deserto, che si trova al confine con Perù e Bolivia, in condizione di pericolo, tra campi minati e montagne che superano i 3800 metri di altezza, con temperature estreme di giorno e di notte”. Lontane dai codici del fotogiornalismo, le immagini di paesaggi desertici di Olivares ‒ accompagnate dai ritratti dei migranti, ripresi di spalle o di profilo perché non volevano mostrare il volto, e dai video da loro realizzati con i cellulari nel corso del viaggio ‒ restituiscono il dolore e la disperazione dei migranti.
– Lorenza Pignatti
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