Francesca Matarazzo – Ipergrafie
Mucciaccia Contemporary è lieta di presentare IPERGRAFIE, la prima mostra personale di Francesca Matarazzo nella capitale, con l’intento di farne conoscere l’universo artistico attraverso 18 opere scelte di recente produzione.
Comunicato stampa
Il tempo è la riva costante dove vanno a sbattere tutte le mie onde. Tutto è in movimento e in mutamento tranne lui, questa gigantesca clessidra in cui scorrono grani a senso unico.
—Francesca Matarazzo
Mucciaccia Contemporary è lieta di presentare IPERGRAFIE, la prima mostra personale di Francesca Matarazzo nella capitale, con l’intento di farne conoscere l’universo artistico attraverso 18 opere scelte di recente produzione. Sono grafie stampate in rilievo su ardesia, su lastre d’alluminio e, soprattutto, plasmate in strati di “cementina” (un mix di pietre, sabbia, colla e acqua) ricoperta da tinte acriliche su tele di varie misure. L’esito è una vera e propria tecnica di scrittura, con avi illustri, dalle parole in libertà futuriste al poème-objet surrealista.
La mostra, a cura di Giulia Abate, sarà inaugurata venerdì 16 febbraio 2018 alle ore 18.30, e accompagnata da un catalogo edito da Carlo Cambi editore, con un’intervista inedita della curatrice all’artista e un testo critico di Cesare Biasini Selvaggi.
Francesca Matarazzo è nata nel 1978 a Napoli, dove tuttora vive e lavora. La sua ricerca artistica si concentra sulla potenza evocativa della parola che materializza sulle sue opere. Le citazioni che sceglie di utilizzare sono quelle a cui appartengono frammenti del suo vissuto, prepotenti salti nel passato o immediate proiezioni future, a volte perfetti compagni della materia che tocca e plasma quando crea. La tecnica mista di pietra, sabbia e calce che invade le superfici delle sue tele è l’esito di una ricerca partita dal piacere sensoriale e dal compiacimento estetico che le ha sempre trasmesso l’impiego di materiali eterocliti. «I granelli di pietra e sabbia – racconta Francesca Matarazzo – mi riportano sempre al tempo, che nel mio immaginario ha infatti questa forma. Il tempo mi scorre tra le mani e mi dà l'illusione di poterlo frenare in una forma, in una parola, in una frase che rimane tale, ferma. Unire i grani di sabbia alla pietra deriva sempre dalla stessa urgenza di trasmettere una solida continuità».
Per Matarazzo l’opera non vuole essere il prodotto, ma il tramite di una meditazione o di un’esperienza ipnotica compiuta attraverso quelle lettere che scorrono tra le sue dita nell’atto di plasmarle, come grani di un Rosario o di un Mala induista o buddhista. «La fase della creazione dell’artista partenopea – scrive Cesare Biasini Selvaggi nella presentazione in catalogo – coincide con quella estatica, attivata da parole che fungono da esclusivo innesco mentale, per consentire al pensiero di cedere il passo a quell’inconscio che da anni Matarazzo scandaglia indossando uno scafandro grave quanto doloroso. Questo suo sfruttamento delle parole, e la loro conseguente “desacralizzazione”, l’autorizza a immergerle tra strati di denso acrilico a tinte barocche, classiche e (perché no?) addirittura kitsch in quel ricorrente oro “shocking”».
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