#MeToo: come il mondo dell’arte guarda la rivolta delle donne che fa tremare lo showbiz?
Per troppo tempo certi comportamenti erano considerati normali. Averli scardinati ha scatenato una ribellione incredibile, al di là delle aspettative. Mi ha colpito che ci siano state reazioni completamente opposte. L’opinione di Lucia Veronesi sul #MeToo.
#MeToo. Anche io. Che significa: anche io ho subito molestie, anche io sono stata o stato importunato, anche io ho subito pressioni, soprattutto sul mondo del lavoro. Un fenomeno, questo, cominciato con l’ormai famigerato caso Harvey Weinstein lo scorso ottobre e poi ricaduto a cascata su tutto il mondo dello spettacolo. Sembrava una moda passeggera, o un ghiribizzo del momento e invece in nome del #MeToo sono cadute un sacco di teste. Anche quelle più blasonate, di attori come Kevin Spacey, il protagonista di House of Cards. E mentre la lista si allunga con accuse a Dustin Hoffman, Stan Lee, James Franco, Woody Allen e addirittura il mago David Copperfield, anche il mondo dell’arte (e della moda) viene toccato dagli scossoni del #MeToo. Finiscono infatti nel ciclone, in un fenomeno che non ha più bisogno di molte presentazioni, personaggi come Chuck Close (al quale è stata addirittura cancellata la mostra alla National Gallery of Arts) Mario Testino, Terry Richardson, in un effetto domino senza precedenti e che sta cambiando completamente il rapporto tra uomo e donna, anche nel corteggiamento. Voi che ne pensate? Quarta tappa con le opinioni dal mondo dell’arte. Dopo Teresa Macrì Serena Fineschi, Roxy in the Box tocca all’artista Lucia Veronesi di dire la sua.
– Santa Nastro
Lucia Veronesi, che idea ti sei fatta del movimento #MeToo? Che posizione assumi rispetto a questo spontaneo movimento di idee e alle denunce che ne sono seguite? Cosa ne pensi?
Il movimento #MeToo è corale, e questa è la sua forza. Fa sentire le donne meno sole, le fa sentire parte di un gruppo, le protegge. Per troppo tempo certi comportamenti erano considerati normali. Averli scardinati ha scatenato una ribellione incredibile, al di là delle aspettative. Mi ha colpito che ci siano state reazioni completamente opposte. Da una parte una specie di movimento femminista d’élite, guidato da star e attrici famose. Dall’altro lato donne altrettanto celebri che denunciavano il pericolo di una caccia all’orco. Per me ci sono delle valide ragioni da tutte e due le parti. In più è stata un’occasione per ripensare alle proprie esperienze considerandole non solo come episodi isolati ma leggendole all’interno di un vero e proprio sistema.
Siamo appena entrati nel 2018, a tuo parere nel sistema dell’arte italiano le donne sono considerate allo stesso livello degli uomini?
A volte capita che, solo perché sei una artista donna, sia ovvio che tu non sappia nulla di cose tecniche, che non sappia cambiare una lampadina o mettere un fischer su un muro, o che non ne sappia nulla di come si fa un allestimento. Come se una donna nella vita non facesse esperienza e non potesse imparare. Le statistiche parlano ancora chiaro: poche donne curatrici di musei o con ruoli dirigenziali con salari non adeguati e quotazioni più basse alle aste. Consiglio di leggere un report del 2017 su questo argomento, prodotto dalla NABA di Milano: più del 60% degli iscritti negli ultimi anni alle accademie di Belle Arti sono donne, ma in Italia poi solo un quarto di queste viene rappresentato dalle gallerie di arte contemporanea. Nel 2016, su un totale di 148 mostre personali, solo il 19% riguardavano artiste donne; nelle mostre collettive, i tre quarti degli artisti erano maschi. È vero che nelle ultime Biennali non poche artiste donne hanno ricevuto il Leone d’Oro, ma la percentuale di quelle rappresentate anche a livello nazionale è sempre molto inferiore rispetto ad artisti uomini. E non credo proprio che la causa sia la qualità del lavoro…
E all’estero?
Non ho abbastanza esperienza per poter esprimere un parere, posso solo parlare di una piacevole impressione: là fuori c’è un maggior rispetto per la professione dell’artista, e già questo basta ad abbattere un certo tipo di discriminazione. Maggiori tutele, maggiore supporto economico e più opportunità danno di per sé una sicurezza e una consapevolezza del mestiere che possono fare la differenza.
Credi che certi comportamenti nel tempo abbiano subito dei cambiamenti di rotta, ad esempio con l’avanzare delle nuove generazioni? I più giovani rispettano maggiormente le donne?
Forse sposterei la questione. Mi piacerebbe parlare prima di tutto del rispetto in assoluto: il rispetto della persona e della professione. Penso che i tempi siano cambiati: artiste che erano attive negli anni Settanta, mi hanno raccontato che si sentivano parecchio isolate in un mondo di artisti uomini. Oggi si vive in una condizione diversa, anche grazie a critiche militanti (ad esempio Lea Vergine) che si sono battute per noi. Parlare di “artiste donne” e “artisti uomini” porta a una separazione che etichetta il nostro lavoro come “femminile”, “di genere”, e lo identifica con stili prestabiliti, pre-giudicati, di fatto mortificandolo. Parliamo invece di opera d’arte e basta, del lavoro dell’artista e della sua sensibilità, della professione di artista, senza specificazioni di genere maschile o femminile. Cerchiamo di rispettare questo e considerarlo un lavoro come tanti, un lavoro meraviglioso e difficile che si fa tutti i giorni, come tanti altri.
Cosa vorresti che questa rivoluzione di pensiero e di atteggiamenti portasse ad esempio nel mondo dell’arte?
Sarebbe bello che non ci fosse più bisogno di fare statistiche per contare quante artiste donne sono presenti in Biennale, nei musei, nelle mostre, ecc. Forse a quel punto avremmo vinto, tutti.
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