Dalla scultura all’architettura. Santiago Calatrava a Roma
Dal rapporto ambivalente con la Capitale ai cantiere in progress; dall’importanza del disegno come esercizio quotidiano alla centralità dell’uomo: cronaca di un incontro con l’architetto e ingegnere noto su scala internazionale.
I Giovedì della Villa, ciclo di appuntamenti settimanali promosso dall’Accademia di Francia Villa Medici, ha ospitato anche l’architetto spagnolo Santiago Calatrava, assiduo frequentatore ed estimatore della Capitale. Ad accoglierlo è stata Muriel Mayette-Holtz: prima donna a dirigere l’istituzione, a partire dal 2015, è artista, attrice e regista; già amministratrice generale della Comédie-Française, dal 2006 al 2014, è stata insegnante al Conservatoire National Supérieur d’Art Dramatique dal 2000 al 2006.
CALATRAVA E ROMA
Un incontro personale, raccolto, all’interno di uno degli splendidi saloni di Villa Medici a Roma, incentrato sull’intima relazione esistente fra attività artistica e imponenti progetti pubblici per i quali è celebre. Architetto, ingegnere, flâneur, Santiago Calatrava (Valencia, 1951) da sempre nutre una passione profonda per la Città Eterna alla quale ha dedicato accorate parole di stupore, citando Goethe: “In nessun posto ho imparato cose come a Roma” (Viaggio in Italia, 1816). È insieme scultore, pittore, architetto e ingegnere, il più leonardesco tra i suoi contemporanei, poiché utilizza differenti strumenti di studio, verifica e progetto. Molte, ancora oggi, le opere romane sua fonte di ispirazione. Una su tutte? Il Pantheon, “per il suo senso del cosmico e la sua capacità di integrare il cielo in un’architettura, creando un senso della luce drammatico”, ha dichiarato.
Il suo racconto all’Accademia di Francia Villa Medici ha preso avvio con l’arte, ancor prima che con l’architettura, con Calatrava che mostra sì alcuni esempi, ma preferisce soffermarsi in particolare sui viaggi, sugli studi, sugli schizzi e sugli acquerelli preparatori, dedicando solo la parte finale del proprio discorso a esporre alcune delle sue principali realizzazioni nel mondo. Calatrava disegna e dipinge quotidianamente, avendo intuito quanto, attraverso la pittura e la scultura, sia possibile investigare forme e principi in piena autonomia rispetto agli inevitabili compromessi che si incontrano poi nella pratica professionale.
IL VOCABOLARIO PROGETTUALE
I riferimenti anatomici, l’ossessione di capire, la natura sono le fonti cui attinge per il proprio personale vocabolario progettuale, nella ricerca costante di un rapporto empatico con l’intorno che sia frutto non di imitazione di qualcosa, ma di una sua sintesi formale. Un concetto tra tutti: la misura dell’architettura ‒ la sua scala, le sue proporzioni, le sue esigenze – è sempre quella umana. Ecco perché, tra gli esempi da lui proposti nel vasto repertorio delle sue creazioni internazionali, ci sono edifici che, pur nella loro diversità, mettono al centro l’uomo. Intervallati da quadri, foto, bozzetti, Calatrava ha ripercorso alcuni momenti topici della sua carriera, mostrando poche ma significative opere da lui terminate nel corso degli anni. Una quasi ignota stazione ferroviaria di Zurigo (1990, tra le primissime realizzazioni), ispirata alla sagoma della propria mano in sezione; il maestoso Planetario di Valencia (2009) omaggio all’occhio, principale strumento di osservazione; la Stazione AV Mediopadana di Reggio Emilia (2014), influenzata dal movimento e dagli equilibri strutturali, ritmici e chiaroscurali. “Goethe diceva sempre che l’architettura è musica pietrificata, e aveva ragione”, ha ricordato ancora.
GLI INTERVENTI IN PROGRESS
Tra gli edifici in progress, spazio al Ponte in California: “Ho iniziato a fare ponti e stazioni perché sono da sempre considerati soggetti rozzi, che hanno un disperato bisogno di uscire fuori da un linguaggio esclusivamente ingegneristico”. A New York, Calatrava ha lavorato al World Trade Center Memorial, per il quale ha progettato l’Oculus – hub e mall da 36mila metri quadrati ‒ e sta ultimando la St. Nicholas Greek Orthodox Church. L’ha introdotta come un “monumento alla vita, uno spazio inclusivo, di accoglienza, preghiera e contemplazione per tutti”. Un progetto complesso, “forse il più complesso, dato quello che semanticamente si porta dietro”, dal forte valore simbolico, ispirato al Bramante e realizzato quasi esclusivamente in acciaio e marmo italiano. Un edificio che esprime l’idea del tempo che passa, di una memoria che va al di là dei concetti di funzionalità, bellezza e staticità. “Le opere” – ha ricordato Calatrava ‒ “ci sopravvivono e sono testimoni del nostro tempo, anche quelle brutte, quelle meno riuscite”.
LA VICENDA DI TOR VERGATA
E infine, nuovamente, Roma: la grande bellezza, il grande abbandono. Una città per la quale nutre affetto, ma che lo ha anche deluso. Parliamo della dolorosa querelle sulle Vele di Tor Vergata, progetto mai terminato e oggi in stato di totale abbandono. “Le opere di architettura” – ha affermato, sollecitato a riguardo – “sono costituite da tre processi: committenza, progettazione e costruzione. Sfortunatamente per Tor Vergata la parte realizzativa non è andata a buon fine. Non voglio dire che disconosco quest’opera, anzi, e ascolto con grande umiltà le polemiche che sono sorte intorno a essa, ma purtroppo in questo la mia responsabilità è limitata: non mi occupo della sua gestione e non ho scelto a chi affidare i lavori”. Certo, sarebbe bello se un architetto del suo calibro, internazionalmente riconosciuto, potesse influire sulle decisioni politiche e urbane di una città che ha bisogno di ritrovare la sua visione sul futuro e non solo sul passato.
‒ Giulia Mura
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