Acqua. Il gusto dell’insapore

La premiata ditta Aldo e Carlo Spinelli ha scelto l’ennesimo ingrediente per la sua escursione fra cibo e arte. Solo che stavolta non è propriamente cibo, anche se è parte del nostro corpo. L’acqua, da Leonardo fino a Serena Vestrucci.

Può sembrare un paradosso: l’ingrediente alimentare più diffuso e consumato è quello che meno soddisfa i sensi in quanto è insapore, inodore e incolore. Ovviamente si tratta dell’acqua, che costituisce circa il 70% del peso del corpo umano. Siamo fatti quindi per due terzi di acqua e, nonostante la nostra immagine allo specchio, l’acqua non ha forma: assume quella del recipiente che la contiene. Com’è dunque possibile che nell’arte, nel regno delle forme, l’acqua assuma un ruolo di (quasi) assoluta protagonista? Fino a raggiungere un’altissima percentuale di artisti (potremmo ipotizzare un 70% tanto per rimanere in argomento) che ha utilizzato l’acqua come soggetto nelle proprie opere. Dai vortici di Leonardo ai canali di Canaletto, dal diluvio di Paolo Uccello alle onde attorno alla zattera di Théodore Géricault, dai mari e le pozzanghere di Pino Pascali alla piscina dello Studio Azzurro, dalle cascate di Fabrizio Plessi ai rubinetti e vasca da bagno di John Cage, dal Condensation Cube (una scatola satura di vapor acqueo) di Hans Haacke al Tentativo di far formare dei quadrati invece che dei cerchi attorno ad un sasso che cade nell’acqua di Gino De Dominicis.

Michael Craig Martin, An Oak Tree, 1973. Tate, Londra

Michael Craig Martin, An Oak Tree, 1973. Tate, Londra

COME BERE UN BICCHIER D’ACQUA

Per non annegare nella vastità dell’argomento, cominciamo da un semplice bicchiere d’acqua. Quello esposto da Michael Craig-Martin nel 1974 alla Rowan Gallery di Londra. Su una mensola di vetro come quelle che stanno sotto lo specchio del bagno, fissata al muro molto in alto, sta un bicchiere cilindrico pieno d’acqua. Più in basso, un testo dattiloscritto in inchiostro rosso spiega che l’oggetto soprastante è, di fatto, una quercia. Non è un’invenzione e neanche un gioco di parole; la quercia che non c’è esiste realmente nella mente di colui che guarda il bicchiere e, ancora prima, dell’artista: “Ho cambiato la sostanza fisica del bicchier d’acqua in una quercia […] La quercia è fisicamente presente ma nella forma del bicchiere d’acqua”. In sostanza, la transustanziazione vista non con gli strumenti della visione ma con quelli dell’arte concettuale mediati dalla persistente memoria della Fountain di Duchamp che va oltre il manufatto per avvicinarsi alla fede.
Un’altra forma di trasformazione idrica è quella operata da Luca Pancrazzi: posizionando in modo appropriato su un tavolo due bicchieri d’acqua, uno grande e uno minuscolo, e illuminandoli con la corretta inclinazione, si ottiene l’ombra di una Bottiglia perfetta (2007). La trasparenza del vetro si somma a quella dell’acqua per costruire una forma virtuale che sembra prendere corpo grazie alla combinazione di riflessione e rifrazione. Dalla transustanziazione alla trasfigurazione non occorrono strumenti complessi e tecniche sofisticate per fare arte; quando si ha un’idea forte la sua realizzazione è facile come bere un bicchier d’acqua…

Serena Vestrucci, Vedovelle e draghi verdi, 2015 17 (particolare). ArtLine, Milano

Serena Vestrucci, Vedovelle e draghi verdi, 2015 17 (particolare). ArtLine, Milano

FONTANE E FONTANELLE

In entrambi gli esempi, al contrario del lungo elenco sopra esposto, la protagonista è la comune acqua potabile, non quella “di marca” e super frizzante raffigurata sulla tela da Andy Warhol (Perrier, 1983) oppure il liquido trasparente che immaginiamo contenuto in Still Life with Lemon and Glass di Roy Lichtenstein (1974). Per dissetarsi ci si può anche avvicinare a una comune fontanella all’interno di un parco pubblico. Passeggiando in quello aperto da circa un anno nell’area di City Life a Milano si può andare alla ricerca delle sculture di Serena Vestrucci che sostituiscono i rubinetti delle cosiddette “vedovelle” (così chiamate perché il loro flusso assomiglia al pianto costante di una vedova) la cui forma ha suggerito agli indigeni il soprannome di “drago verde”. Le dieci teste di drago realizzate da Vestrucci sono tanto mostruose quanto una diversa dall’altra. E come nelle più diffuse avventure mitologiche, l’incontro con un drago può essere casuale o effetto di una metodica ricerca: il vero opposto della tradizionale monumentalità della scultura. D’altro canto l’artista si era già cimentata con l’invisibilità dell’opera con il video Chi cammina sulla neve fresca senza voltarsi non lascia impronte, nel quale il titolo è scritto sul muro con un pennello intinto nell’acqua.
In un altro parco, quello della University of California a San Diego, sta un’altra fontana che, pur avendo l’apparenza di una massiccia scultura in marmo levigato, rasenta i livelli più alti dell’arte concettuale. Infatti, se osservata da questo punto di vista, è l’esatto contrario dalla sopra citata fountain di Duchamp: allora un oggetto comune entrava in un museo con la qualifica di “opera”, ora un prezioso manufatto scultoreo si pone al centro di un’aiuola e offre il suo zampillo d’acqua agli assetati riproponendosi come un normale oggetto dotato di una specifica funzione. La scultura, realizzata nel 1991 da Michael Asher, è infatti l’esatta riproduzione in granito dei distributori d’acqua che erano sparsi nei saloni del campo militare che occupava lo stesso spazio prima dell’università. E così, la comune quanto indispensabile acqua, dopo aver ispirato e stimolato la quasi totalità degli artisti, torna ad assumere il suo gusto dell’insapore.

Carlo e Aldo Spinelli

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #41

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Carlo Spinelli

Carlo Spinelli

Laureato in Lettere Moderne e iscritto a Storia Antica, viaggia mangia e scrive in ordine sparso per ItaliaSquisita, Rolling Stone, La Cucina Italiana e Wired. Approfondendo l'antropologia dell'alimentazione nel contemporaneo mangiare, tra culture e geografie all'antitesi, ama in egual misura…

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