Artico. L’ultima frontiera alla Triennale di Milano
Triennale, Milano ‒ fino al 25 marzo 2018. Definire l’allestimento di questa esposizione essenziale è un eufemismo: diciamo pure che è al limite, almeno per una rassegna presentata nel Palazzo della Triennale a Milano. L’allestimento, ma non la mostra – che è certamente bellissima.
Raggiunto il monumentale scalone che dal corridoio centrale del Palazzo accompagna al piano superiore, anziché salirlo ci si infila in un uno scaloncino attiguo che conduce a tre salette situate nel sottosuolo. Qui, su pareti verde azzurro (il colore del mare quando è davvero freddo) stanno appese 64 fotografie rigorosamente in bianco e nero. Un pannello introduttivo, il nome dei tre fotografi autori delle immagini e quattro didascalie di un rigo completano il tutto. La prima è di Denis Curti curatore (insieme a Marina Aliverti) della mostra e andrebbe forse letta all’uscita, perché davvero stringe il cuore: “Queste immagini potrebbero essere l’unica cosa che rimane dell’Artico”. La Triennale accompagna la mostra a un summit sul cambiamento climatico che si terrà il prossimo 27 febbraio. Come giustamente sostenuto dagli organizzatori, “una delle rare occasioni di dibattito su questo tema” a Milano, e nell’intero nostro Paese, aggiungiamo noi.
GLI SCATTI
Un dibattito su un tema terribilmente attuale e una mostra, dunque, che accoglie gli scatti dell’islandese Ragnar Axelsson, del romano Paolo Solari Bozzi e del danese Carsten Egevang. Proprio quest’ultimo ha realizzato quelli forse più coinvolgenti e ne ha riassunto il significato nel rigo nero sulla parete dello spazio a lui riservato: “Dobbiamo seriamente ammirare gli abitanti della Groenlandia, che siano umani o animali, vivono ogni giorno al limite del possibile”. Orsi, lupi, cani e pesci, uomini e donne si muovono all’ interno di paesaggi sovrumani. Ma niente romanticherie: qui gli esseri umani sono spesso armati e gli animali, sono sempre superbamente belli, ma niente affatto rassicuranti. È un mondo vuoto e perfettamente silenzioso che Ragnar Axelsson descrive a sua volta così: “Quando sei fuori in mezzo al ghiaccio e lontano da tutto, provi soltanto solitudine, e ogni suono non è altro che un tipo diverso di silenzio”.
I DOCUMENTARI
In ognuna delle 64 immagini esposte ‒ come ovvio ‒ è il colore bianco a dominare, ma è un bianco composto da infinite tonalità, quelle che noi individui civilizzati non riusciamo a vedere, ma che vedono benissimo gli ultimi 150mila inuit che abitano il nostro pianeta.
L’esposizione in uno spazio attiguo ricavato da un disimpegno appena fuori dalle tre stanze è arricchita anche da tre documentari: SILA and the Gatekeepers of the Arctic, realizzato dalla regista e fotografa svizzera Corina Gamma; Chasing Ice, diretto dall’americano Jeff Orlowski; e The Last Ice Hunters, dei registi sloveni Jure Breceljnik e Rožle Bregar.
‒ Aldo Premoli
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