La responsabilità dell’architettura. Intervista a Winy Maas
A Rotterdam, l’architetto olandese fondatore di MVRDV ha aperto ad Artribune le porte del suo studio per una conversazione a tutto campo: dai cantieri in progress a una certa idea di abitare domestico.
Incontriamo Winy Maas in una fredda – seppur non freddissima – mattina di novembre a Rotterdam, all’interno dello studio di cui è a capo con Jacob van Rijs e Nathalie de Vries, che conta a oggi circa 250 dipendenti. Incredibilmente affabile e sorridente, parla a un gruppo di giornalisti che, come noi, lo osserva rapito raccontare con entusiasmo dei diversi progetti in progress di MVRDV, sparsi un po’ ovunque per il globo terracqueo. Ma è su quanto stanno realizzando a Rotterdam che concentra maggiormente la sua attenzione: un progetto innovativo per la cultura, il collezionismo e il mondo museale in genere.
Inizio subito chiedendole: un architetto del suo calibro, internazionalmente riconosciuto, come intende il concetto di responsabilità? C’è differenza tra avere una responsabilità locale e una globale?
Lo intendo in un modo molto serio. Responsabilità vuol dire responsabilità, qualsiasi sia il suo livello “geografico”. Non fa differenza. L’architettura in questo ha un ruolo nodale nella società contemporanea, poiché costruisce speranza. È una grande opportunità collettiva, se ben fatta, e comporta essere responsabili verso un’enorme quantità di individui. Responsabilità vuol dire avere una visione, avere un sogno, essere dialettici.
Dalle responsabilità alle radici. Lei è nato qui ed è qui che ha deciso di mettere in piedi lo studio MVRDV, a oggi una delle firme più conosciute del mondo. È tra i progettisti che ha scommesso su questa città, realizzando – tra le altre opere – il grande intervento mixed use del Markthal, inaugurato nel 2014. Ci racconti…
Ho scelto io di rimanere qui, avrei potuto aprire ovunque, è vero, ma Rotterdam è sempre Rotterdam [sorride, N. d. R.]. Col Markthal abbiamo voluto fare una scommessa, creando un grande meccanismo urbano che funzionasse come nuova polarità. Un edificio che è insieme spazio di vita, di socialità e di lavoro, un grande ibrido. È insieme mercato, residenze, ristoranti, parcheggi, piazza coperta. La cosa interessante, e diversa, è il gioco che esiste tra le proporzioni e i volumi, oltre che la permeabilità visiva: alcuni appartamenti hanno finestre che affacciano direttamente sulla grande hall decorata. La spesa maggiore sono infatti stati gli infissi altamente performanti, che consentono di minimizzare i disturbi acustici tra le parti.
Lei ci vivrebbe?
Non saprei, io ho già una bellissima casa! Una townhouse, che è stata rimessa a posto.
L’ha ristrutturata lei stesso? Perché molti architetti famosi hanno affermato che non si sono – per scelta – occupati di progettare casa loro.
Casa mia era già bella di per sé, ho solo aggiunto colore [ride, quando gli ricordiamo che chi se non lui, considerato un antesignano del color block in architettura, avrebbe potuto farlo, N. d. R.].
Mi tolga una curiosità: quali sono i suoi rapporti con Rem Koolhaas, il cui studio ha anch’esso sede a Rotterdam?
Oh, Rem è un caro amico! Certo, è un mio competitor diretto, non posso negarlo, ma siamo in ottimi rapporti. C’è grande stima e ammirazione reciproca ‒ siamo molto diversi, in fondo ‒ma ci confrontiamo spesso, parliamo di un sacco di cose, lavorative e non. Lui è incredibilmente più serio di me.
Sono moltissimi i progetti su cui MVRDV sta lavorando adesso…
Sì, in effetti lo studio è molto impegnato in questo momento! Abbiamo da poco inaugurato la grande biblioteca Tianjin Binhai, in Cina, progetto complesso di cui siamo piuttosto fieri. È uno spazio emozionale che sta ricevendo molta attenzione mediatica. Stiamo poi ultimando un intervento residenziale a torre ad Amsterdam, uno a New York e stiamo lavorando per l’Expo 2022 a Lodz, in Polonia: cureremo il padiglione olandese. Inoltre, stiamo all’opera con l’ampliamento degli archivi del museo Boijamans, proprio qui a Rotterdam. E poi molto altro ancora, fortunatamente, ma non posso svelare troppo al momento!
Concentriamoci sul progetto del museo Boijamans, frutto di una competition internazionale da voi vinta superando ben 47 rivali. Cosa ha di tanto diverso da altri musei contemporanei?
Che si tratta di un museo-non museo. Cioè, sono gli archivi del museo Boijamans. È un progetto innovativo principalmente per l’approccio, che crea nuovi modi di mostrare. Sui 14.300 mq previsti, circa 2000 sono dedicati a spazi per i collezionisti, considerati ora parte attiva nel programma espositivo: essi infatti potranno sia esporre a rotazione i loro patrimoni sia decidere di utilizzare la struttura solo come luogo sicuro dove stoccare la collezione. Pensato in un parco che sorge a fianco al museo attuale, la struttura – una gigantesca mug specchiata e specchiante, simile al Bean che Anish Kapoor ha messo a Chicago, per intenderci – sarà terminata nel 2019 ma aprirà al pubblico solamente nel 2020. Un anno è il tempo necessario per spostare, accorpare, razionalizzare ed esporre l’enorme collezione archivistica. Sono infatti ben 7 le location sparse tra Olanda e Belgio che attualmente ospitano l’immenso archivio del museo. Avrà un volume rastremato, con una minima traccia a terra, costituito da un core centrale con ascensori trasparenti e corpi scala che si incrociano per offrire una nuova esperienza dell’opera d’arte.
Quale sarà la relazione con lo spazio esterno?
Tutti gli alberi del parco tagliati per far posto al nuovo edificio saranno ripiantati in quota, sulla sua sommità, per non perdere verde urbano e offrire ai bambini del Children Hospital antistante inusuali viste, che cambiano continuamente. L’artista svizzera Pipilotti Rist lavorerà agli esterni, pensando percorsi colorati a terra. L’innovazione principale di tutta l’operazione, al di là della forma del manufatto, sta nel creare un sistema misto tra pubblico e privato.
Molto interessante. E dell’Italia che mi dice? Ci sarà mai la possibilità di vedere realizzata da noi qualche opera degli MVRDV?
E chi lo sa! Ci sono oggettive difficoltà, a essere onesto. Abbiamo tentato un paio di approcci ma nessuno dei due è mai andato a buon fine, peccato. Sento però che abbiamo un rapporto reciproco forte, e lo dico perché nel mio studio lavorano tanti ragazzi italiani bravi, che hanno parte attiva nel processo creativo. Sento in particolare di avere un’affinità con Milano, con la quale condividiamo una certa energia. E un certo modo di guardare avanti.
Ha un progetto dei sogni che vorrebbe realizzare?
Naturalmente! La casa dei Barbapapà! Li avete anche voi in Italia i Barbapapà?
Prego?
Intendo dire una casa in cui tutto cambia completamente, fluida, amorfa, ipertecnologica, reattiva. Uno spazio in cui la densità si dissolva, un nuovo modo di abitare liquido. I software e le nanotecnologie ci vengono in aiuto ormai. Chissà che non mi lanci in questo esperimento!
‒ Giulia Mura
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