Milano Fashion Week. La bellezza post-human di Gucci
Gucci sfila alla Milano Fashion Week con la collezione autunno/inverno 2018-2019, a pochi giorni dal lancio di una campagna ambientata nel maggio francese di cinquant’anni fa. La stravaganza dei suoi modelli si trova perfettamente a proprio agio tra i contestatori e i lacrimogeni di chi cercava di fermare un movimento che ha cambiato la storia.
Era lecito immaginare di partecipare a un evento “rivoluzionario” quando, come invito, è stata inviata una specie di bomba. E invece Gucci era già andato oltre. Il timer/detonatore che segna ore, minuti e secondi dal momento in cui lo prendiamo in mano a quando entriamo in via Mecenate a Milano, quartier generale della maison, azzera il tempo, e così inizia lo show dentro verdi sale operatorie, pronte ad accogliere un pubblico sempre più prestigioso e internazionale: gli ospiti di quel principe che, con le sue visioni, sta stravolgendo il gusto e l’idea di bellezza, reinventando, come accadde negli Anni Sessanta e Settanta, i “modelli di consumo”.
Il superamento di se stesso è la caratteristica più evidente di Alessandro Michele, una scienza applicata che ogni volta porta l’esperimento al successo, nelle campagne come nelle sfilate. E anche nella collaborazione con gli artisti, che non conosce limiti, come in questa sfilata in cui artisti/artigiani hanno creato effetti speciali raccapriccianti e magnifici: la giovane factory italiana Makinarium, specializzata nello sviluppo di effetti speciali integrati fisici e visivi, ha trasformato i modelli in figure oniriche.
BELLEZZA INDISCIPLINATA
L’ambientazione questa volta si muove in un percorso clinico, con colori asettici e luci sparate, giuste per veder bene dove tagliare e cucire quelle forme innaturali che sfilano. Così il pubblico – tra cui spiccano Nick e Susie Cave e Maurizio Cattelan – trova posto intorno a tavoli operatori: tutti seduti come spettatori di uno spettacolo chirurgico, in attesa che chi entra e chi sfila si sdrai e si sottoponga a… qualcosa.
I modelli entrano ma girano intorno ai lettini, li ignorano, non sembrano vederli mentre si incrociano con passo sicuro, fieri della loro stranezza. Non chiedono di essere operati, e tantomeno riportati a una condizione di normalità. La loro bellezza sta proprio nel rifiuto della disciplina estetica e nello sfuggire al controllo di ogni possibile classificazione, probabilmente anche ai gruppi sanguigni riconosciuti.
Non sono solo “strani”, eccentrici e irriconoscibili come esseri umani; sono gli abitanti del pluriverso di Gucci, figure con tre occhi che camminano con il doppione della loro testa in mano, decapitati, accompagnati da serpenti e cuccioli di drago. Mostruosamente belli e rivoluzionari, espressione contemporanea dei loro antenati capelloni, delle madri androgine e femministe, sono i nipoti della cultura che ha aperto le teste degli uomini sradicando regole convenzionali. Sono le star del loro film, coperti di ricami e mantelli preziosi; portano i segni della loro cultura pop con uno stile reinventato, che sovrappone tutti i ricordi fino a mischiarli in una nuova identità.
IBRIDI COME UNICHE FORME POSSIBILI DI VITA FUTURA
La collezione si intitola Cyborg e celebra l’ibrido come ultima sfida al potere disciplinare che impone al soggetto una precisa identità: il rivoluzionario è la figura capace di superare le violenze della vita imposta dagli altri. Come recita il testo che anche stavolta accompagna la sfilata: “Il Cyborg è una creatura paradossale che tiene insieme natura e cultura, maschile e femminile, normale e alieno, psiche e materia. […] Il Cyborg Gucci è post-umano: ha occhi che compaiono sulle mani, corna da fauno, cuccioli di draghi e teste che si sdoppiano. È una creatura biologicamente indeterminata e culturalmente consapevole. Il segno ultimo ed estremo di una identità meticcia in trasformazione. Il simbolo di una possibilità emancipatoria attraverso cui possiamo decidere di diventare ciò che siamo”.
Così, ancora una volta, Alessandro Michele ci impedisce di parlare solo di sete, velluti, ricami, lane preziose, mantelli e trasparenze di abiti e di capsule che chiudono l’abito o il cappotto in un bozzolo di una creatura che, per vivere, deve uscire da se stessa. Uno stile che, come le sue creazioni, non accetta più un unico ruolo identitario, ma che si muove sempre di più su ogni espressione creativa, dimostrando quanto sia determinante il cambiamento e quanto la sua teoria trovi conferma in un successo economico fuori dall’ordinario.
– Clara Tosi Pamphili
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