La rivoluzione italiana fra Manierismo e Barocco. A Forlì
Il controverso periodo fra il Manierismo e il Barocco, diviso fra gli ultimi bagliori michelangioleschi e la lezione di Caravaggio; fra le pieghe della propaganda religiosa romana contro la Riforma di Lutero, trovano spazio forme espressive artistiche e scientifiche che aprono la strada alla rivoluzione cartesiana prima e illuminista poi. Una mostra colta e raffinata curata da una squadra di eminenti critici e studiosi, fra cui Paolucci, Bacchi e Brunelli. Ai Musei di San Domenico di Forlì.
Il tempo dell’arte, molto spesso, è quello della storia, un tempo universale perché contiene il passato e annuncia il futuro. La mostra forlivese L’Eterno e il Tempo tra Michelangelo e Caravaggio racconta in 190 capolavori le trasformazioni sociali che ebbero luogo in Italia dal 1517, anno in cui Lutero pubblicò le sue 95 tesi, fino al 1610, anno della morte di Caravaggio e della pubblicazione del Sidereus Nuncius di Galileo Galilei; in mezzo, il sacco di Roma del 1527, il Concilio di Trento del 1545-63 e la Pace di Cateau-Cambrésis, che riconobbe il dominio spagnolo su quasi tutta l’Italia. Un secolo di importanti cambiamenti, solitamente visto come un periodo di oscurantismo e involuzione sociale, anche e soprattutto nella vita culturale e artistica italiana. In realtà, pur sotto la cappa della Riforma Romana (meglio conosciuta, ma impropriamente, con il nome di Controriforma), il passaggio dal Rinascimento al Barocco portò con sé innovazioni creative e concettuali, pur in forma sommessa.
DAL CRISTO GIUSTINIANI AL NATURALISMO “SGRAZIATO” DI CARAVAGGIO
Scolpendo il candido marmo carrarino, Michelangelo ricercava la sintesi fra la purezza del corpo e la sacralità, dando forma alla perfezione dell’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, e capace di realizzarsi con la forza del proprio ingegno. Una sorta di traduzione in immagine della scolastica tommasea, aggiornata sulla scorta della riscoperta di Platone. Assieme all’ultimo Raffaello dell’arazzo con i soggetti per la Cappella Sistina (sintesi fra la dimensione storico/biblica e la raffigurazione della natura, che influenzerà molta parte del naturalismo seicentesco) nasce la maniera moderna. Della quale fu valido interprete Pontormo, con la tenera umanità della Madonna con il Bambino e San Giovannino. All’altro capo, drammaticamente carnale e terrestre, il naturalismo di Caravaggio si sofferma con perizia, quasi con compiacimento, sui difetti dei modelli, l’armonia classica lascia il posto alla perfettibilità della realtà umana, con i suoi pochi splendori e le sue tante miserie, soprattutto morali, e per questo diviene più vera. Lo dimostra Ragazzo morso da un ramarro, ispirato – secondo una delle ipotesi interpretative – alle orge cui indulgeva il cardinale Francesco Maria del Monte, estimatore e mecenate del Merisi. Al di là della cornice classica che accompagna l’opera, si tratta quindi di un audace documento sui costumi morali della Curia, quella stessa che da secoli imponeva la sua influenza sulla Penisola impedendone di fatto l’unità, e avendo il pressoché totale monopolio dell’istruzione. E la Madonna dei Pellegrini è una prostituta romana che tiene in braccio il frutto del peccato, ma non per questo è più colpevole del cardinal del Monte. Caravaggio racconta un’Italia umile, misera, ferita e umiliata. Come avrebbe potuto raccontarla ancora oggi.
L’INFLUSSO DI LUTERO E LA “RIFORMA ROMANA”
Governatore del territorio di Viterbo dal 1541 fino alla scomparsa nel 1558, il cardinale inglese Reginald Pole condivideva le idee degli Evangelisti per un rinnovamento della Chiesa, a cominciare dal riconoscimento di un’interpretazione individuale delle Sacre Scritture, senza la mediazione del sacerdote. Attorno a lui si radunarono alcuni artisti che aspiravano a un ritorno della Chiesa alla sua purezza sostanziale. Il rigorismo ascetico di Sebastiano del Piombo e del suo Cristo che porta la croce è già oltre Michelangelo, nel plasticismo intuito sotto la veste stracciata, ma carico di pathos drammatico. E ancora, nei bozzetti “visionari” dalla muscolarità michelangiolesca del Pontormo per gli affreschi del Giudizio Universale in San Lorenzo a Firenze (ciclo di affreschi distrutto nel Settecento perché non corrispondenti all’ortodossia cattolica), si legge la salvezza dal peccato per sola grazia divina, chiaro richiamo alla predestinazione luterana. E ancora, dai Paesi luterani giunse l’eco di una pittura interessata alla quotidianità, all’individuo, alla realtà in cui si muoveva, realtà da studiare, conoscere e capire. Sulla scia di questo pensiero di respiro europeo, che laicizza la vita umana separandola dal destino ultraterreno, si formeranno i vari Pascal, Cartesio, Galileo, Keplero, Voltaire, Verri, fino a Nietzsche e Camus.
In contrapposizione alle istanze di Lutero, a Roma si corse ai ripari attraverso quella che oggi si chiamerebbe una massiccia campagna mediatica rivolta alla massa analfabeta (che si voleva rimanesse tale) e incentrata sull’iconografia delle pale d’altare. Erano quelle le ideali pagine della “Biblia Pauperorum”, o Bibbia dei poveri, che leggevano le immagini non sapendo leggere le parole. Da Muziano a Modigliani, al luminoso manierismo di Zuccari e Barocci, si riscontra un linguaggio pittorico solenne ma colloquiale e catechistico, con soluzioni compositive di immediata lettura. Anche se, nell’intimità dei palazzi cardinalizi o delle residenze nobiliari, la licenziosità erotica della classicità greca era largamente tollerata, a testimonianza di stili di vita ben diversi dalla santa temperanza predicata dai pulpiti.
LA NUOVA CONCEZIONE DELLO SPAZIO
Come accaduto per la pittura, anche in architettura la Chiesa sentì la necessità di codificarne le regole estetiche in modo da poter diffondere anche con i marmi, le pietre e gli stucchi, la sua dogmatica dottrina. Prevale l’esigenza di concentrare l’attenzione sul mistero dell’Eucarestia (in aperta condanna di Lutero che accettava la transustanziazione soltanto come concetto simbolico); l’altare torna in primo piano, scompare la divisione in navate e lo sfarzo rinascimentale lascia il posto al plumbeo oro sporcato d’incenso. Il Vignola fu il principale esponente di questa nuova architettura, molto attivo a Roma. Anche in pittura, seppur su basi diverse, si osserva una ridefinizione dello spazio naturale; dopo la divulgazione delle teorie copernicane, l’individuo non è più al centro dell’universo; la Terra è soltanto una sua infinitesima parte, collocata in un punto non ben definito dal sistema solare. Lo spazio non è più, quindi, interamente misurabile né conoscibile, e s’insinua l’idea della solitudine esistenziale che arriverà fino a Sartre. Dagli sfondi con paesaggi aspri e oscuri di Cesari, Ludovico Carracci e Caravaggio si giungerà, quasi un secolo dopo, all’amarezza del Magnasco.
LA FORZA DEL LIBERO PENSIERO
Dalla mostra forlivese emerge come il pensiero, intellettuale o artistico che sia, prosegue indomito il suo cammino nel nome della conoscenza e della libertà. Il velo oppressivo che la Chiesa calò sull’Italia allo scopo di soffocare il libero pensiero fu squarciato in più punti da Caravaggio, dai michelangioleschi e dagli spirituali. Così come, metaforicamente, il Sidereus Nuncius straccia l’indice dei libri proibiti: ne fu vittima, ma preparò la strada per la sua eliminazione. Per questo, fra le righe, si può leggere in mostra il coraggio dell’arte di essere libera, di innalzare la bandiera del pensiero critico, che sotto l’oro chiesastico sporcato d’incenso palpita.
– Niccolò Lucarelli
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