L’uso di parole o lettere nel contesto dell’arte visuale ha origini lontane, affonda le sue radici nell’antichità. La compresenza di immagini e parole nello spazio visivo del quadro, della pagina, o nell’ambiente, assume diversi significati e veicola di volta in volta messaggi che tendono a porsi in relazione stretta al contesto artistico di riferimento.
Questa mostra presenta una selezione di artisti italiani e internazionali per i quali la parola costituisce un elemento nodale del fare, come Vincenzo Agnetti, John Baldessari, Mel Bochner, Alighiero Boetti, Dadamaino, Lucio Fontana, Emilio Isgrò, Joseph Kosuth, Jannis Kounellis, Piero Manzoni, Rebecca Moccia, Gastone Novelli, David Reimondo, Mimmo Rotella, Salvo, Mario Schifano, Cy Twombly. Tutti loro sono accomunati da una serie di parole chiave – concept – light – dictionary – pop – time – philosophy – chirography – focali nel loro lavoro che ci permettono di individuare sintonie e affinità, dispiegando una sorta di fil rouge che unisce l’uno all’altro. Attingendo dalla vita e dal caleidoscopio multiforme della comunicazione verbale, letteraria, filosofica, poetica, ognuno ha saputo conferire alla parola un potere che va oltre il mero significato. È proprio il valore del concetto, del significato espresso che questo progetto vuole mettere in luce: la parola come domanda e affermazione, come messa in evidenza della ricerca, dello scrutinio del pensiero.
La volontà di creare relazioni chiare e strette fra ogni artista ha determinato la scelta delle opere e un allestimento enfatizza questi rimandi.
Un taglio di Fontana, esposto con la possibilità di vedere recto e verso, mostra la scritta che l’artista cela sul retro: “C’è sempre un muro fermo controvento”. Era sua consuetudine siglare la tela con frasi, riflessioni e appunti, a volte profondi e a volte con il valore di semplici note.
Nella mostra è il primato dell’idea a emergere, accanto all’atto del puro pensare in un contesto, quello del linguaggio che possiede un potenziale rappresentativo ed espressivo intrinsecamente sconfinato.
DALLA TAUTOLOGIA ALLA CHIROGRAFIA
Le opere di Kosuth, Agnetti, Bochner, Salvo, Boetti, Isgrò ci catapultano nel fascino della tautologia, nel mistero del senso e dell’intuizione filosofica, nell’amplificazione dei confini del linguaggio con l’uso di parole che fanno parte del meaningless e che ricordano le onomatopee e le parolibere futuriste e, infine, nell’ironia e nell’icasticità di un contenuto comunicato o addirittura cancellate: parole che per questa negazione divengono molto più potenti. Si dichiara anche la messa in discussione della parola definita e assoluta, a favore dell’affermazione dell’impossibilità di dire tutto o di rappresentare con pienezza la potenza del pensiero.
La scrittura come pratica che evidenzia il flusso del pensiero e la durata di realizzazione dell’opera è una caratteristica della poetica di Dadamaino, rappresentata in mostra dall’Alfabeto della mente.
Nei segnali di Kounellis, ingranditi a dismisura che galleggiano sulla superficie chiara del quadro, si percepisce l’urgenza di uscire dallo spazio tradizionale della rappresentazione e della comunicazione e vi è un che di automatico e gestuale, da associarsi anche alla conoscenza dell’opera di Twombly, presente in mostra in un serrato dialogo con Novelli. Le parole si alternano alle forme, il segno automatico o la scrittura fluente ricopre la tela e non deve essere necessariamente interpretabile: talvolta è pura grafia, esibizione di un gesto come potrebbe essere una pennellata.
Si introduce a questo punto la cosiddetta “poetica del muro” che esalta la materia calcinata, ruvida delle superfici pittoriche esaltate dai décollage di Rotella. L’artista gioca con colori accesi negli accostamenti di brandelli di realtà, oppure con delicate variazioni cromatiche nelle sovrapposizioni di carte stratificate e sbiadite.
Le parole, pur legate all’espressività del linguaggio e al significato veicolato, consentono l’esternazione di innumerevoli sfumature di senso trasmesso anche dalla forma con cui le lettere o le frasi sono presentate. Il riguardante è quindi costretto a osservare le parole come immagini. Quando in un’opera d’arte riconosciamo un marchio, ciò che percepiamo è un’immagine appartenente alla nostra cultura, fatta anche di oggetti quotidiani e banali, che immagazziniamo in modo passivo, ma indelebile, fino a diventare archetipi.
Tra le forme espressive legate al linguaggio, la chirografia ha mantenuto sempre un ruolo di preminenza. Attraverso la scrittura manuale si trasmette la veemenza del gesto, come insegna l’informale segnico, ma anche una cifra personale, quella intimamente contenuta nella grafia di ognuno di noi, che per molti artisti è parte irrinunciabile della pratica pittorica.
MOCCIA E REIMONDO
L’attraversamento della soglia per giungere alla ricerca contemporanea è affidato, in mostra, a due giovani artisti: Rebecca Moccia (Napoli, 1992) e David Reimondo (Genova, 1973). Il rapporto con il tempo e la luce è sottilmente indagato da Moccia che crea una scrittura d’ombra e di aria con la sua Poesia. Meridiana. La scrittura, realizzata con una penna 3D, è percepibile nel vuoto, come attraverso il vuoto, o meglio una sottrazione di luce. La meridiana indicava in antichità lo scandire del tempo, fulcro del suo lavoro. Un linguaggio inaudito si intitola l’installazione composta di parole disegnate con la tecnica della calligrafia su carta. Il recupero della scrittura a mano richiama un tempo lontano in cui regnava un’armonia tra i segni e un ordine preciso tra segno, suono e simbolo. L’eleganza della grafia si dispiega sui rotoli di carta che si ergono come colonne dal pavimento.
Il desiderio di concretizzare la sensazione, pur nella consapevolezza che i sentimenti non si possono ingabbiare, conduce Reimondo a ideare la Tavola dei sentimenti, un pannello laccato di rosso composto di settanta sportelli apribili ognuno dei quali rappresenta un sentimento da dischiudere, proprio come si fa con il cuore quando si “apre” al pieno delle sensazioni. Parole, immagini e sentimenti che per Reimondo vanno spalancati, così come per Moccia vanno srotolati o esibiti sul piano di un tavolo.
– Daniela Ferrari
Londra // fino al 12 maggio 2018
More than Words…
MAZZOLENI LONDON
27 Albemarle Street
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