Gillo Dorfles e il design. Un amore ricambiato
Tra i mondi che piangono il critico e intellettuale scomparso a 107 anni, quello del design è senz’altro in primissima linea. Autore di saggi ancora oggi di culto, fu tra i primi a indagare il presente a 360 gradi. Mettendo architettura, disegno industriale e moda sullo stesso piano delle arti figurative.
“Niente è più scottante del design”, dichiarava Gillo Dorfles in un’intervista rilasciata qualche anno fa, ricordando come questo pervada tutti gli ambiti della nostra vita e, come un termometro, sia in grado di registrare la temperatura della società. Osservatore privilegiato del secolo breve, critico di tutte le arti, fenomenologo del gusto dalla mente aperta e dai molti interessi, nell’Italia del dopoguerra è stato tra i primi a prendere coscienza, anche scientificamente, del neonato disegno industriale e a riconoscerne la forza propulsiva. La sua concezione dell’arte come segnalatore dei mutamenti sociali che “non prescinde dal tempo per esprimere semplicemente lo spirito della Storia universale, bensì è connessa al ruolo delle mode e a tutti gli ambiti del gusto”, volendo riportare una delle frasi più spesso citate, lo porta a interessarsi ai fenomeni comunicativi di massa e a considerare discipline come l’architettura, il design o la grafica sullo stesso piano delle arti figurative, dedicando loro la medesima attenzione.
LE ARTI “UTILITARIE”
L’interesse per le arti applicate ‒ o “utilitarie”, funzionali, che non hanno come unico scopo il piacere estetico e la cui fruizione, di massa, può non seguire le linee guida dettate da una élite di cultori ‒ nasce già nel primissimo periodo postbellico. Il MAC – Movimento d’Arte Concreta, che Dorfles fonda nel 1948 con Bruno Munari e altri artisti, annuncia se stesso con una cartella di stampe astratte, esposte alla Libreria Salto di Milano, ma già dall’inizio guarda con molto trasporto all’architettura e al primo embrione di quello che poi sarebbe diventato il design italiano. Nella sua sterminata bibliografia c’è un libro, Il disegno industriale e la sua estetica (Cappelli, 1963), poi ampliato in Introduzione al disegno industriale (Einaudi, 1972), che è una precoce teorizzazione di un fenomeno ancora relativamente nuovo, la progettazione di oggetti pensati per essere prodotti in serie con l’iterazione assoluta del prototipo, e diventerà un libro guida per molte generazioni di studenti e professionisti.
KITSCH E “OGGETTOIDI”
L’attività critica di Dorfles, esercitata lungo gran parte del “secolo breve” e oltre, non risparmia l’analisi di aspetti problematici della nuova società di massa e del suo gusto diffuso. Nel 1968, con un libro che diventerà cult (Il Kitsch, antologia del cattivo gusto, Mazzotta) introduce nel nostro Paese un termine già noto nell’Europa centrale e sdogana la categoria estetica del kitsch (sul tema e i suoi sviluppi curerà una mostra alla Triennale di Milano nel 2012), che da semplice “cattivo gusto” diventa un quartiere dell’arte da conoscere, frequentare e, perché no, utilizzare, “a patto di non farsi prendere la mano”.
Negli Anni Novanta, accanto ai “fattoidi” ‒ pseudoeventi, fatti e situazioni deviati o contraffatti, anticipazione delle nostre fake news ‒ presenta gli “oggettoidi”, prodotti che a uno sguardo superficiale possono sembrare “di design” ma non derivano da un autentico atto di progettazione. Un’operazione solo in apparenza afferente all’area del progetto ma di fatto un’impostura, così come il kitsch definiva “un’operazione apparentemente artistica che surroga una mancante forza creativa”.
‒ Giulia Marani
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