Essere o non essere, questo è il problema. Potrebbe essere letta in chiave amletica la discussione che ha recentemente riportato la cultura del progetto italiano sulle prime pagine dei nostri quotidiani, teatro di un affilato scambio di opinioni sulla vicenda del museo permanente del design di Milano. Sì, perché, con l’avvento del nuovo anno (e di una campagna politica in corso), sono molte le personalità che non hanno rifiutato il proprio endorsement per la creazione di una nuova istituzione museale. Agognata dagli imprenditori del migliore made in Italy, pronti a fare sistema per difendere il primato milanese dalla concorrenza. Rilanciata dai politici, che a colpi di tweet hanno sostenuto la bontà dell’iniziativa. E, infine, messa in allerta dalla Triennale, che ha ricordato a tutti i suoi distratti interlocutori che un museo del design – il primo in Italia – a Milano c’è già. Si chiama Triennale Design Museum, è stato inaugurato alla fine del 2007 e si distingue per la formula inedita del “museo mutante”, secondo la definizione di Silvana Annicchiarico, che del museo è la direttrice: non una collezione permanente sempre uguale a se stessa, ma una successione di mostre a rotazione che rileggono criticamente il nostro grande patrimonio progettuale.
La querelle, per il momento placatasi, è comunque destinata a riesplodere a tempo debito. Aprendo il dibattito sul ruolo strategico di un museo del design per la città di Milano. E mettendo inevitabilmente in discussione la formula delle mostre “a tempo” che, negli ultimi dieci anni, hanno contraddistinto l’impronta curatoriale della Triennale.
I PUNTI DI VISTA
Per fare chiarezza, mettiamo in ordine i punti di vista. A dare il “là” è Claudio Luti, Presidente di Kartell S.p.A. e del Salone del Mobile di Milano, che apre all’idea per poi dichiarare che “è necessario capire, con tutti i se e tutti i ma, come far nascere il museo di design più bello del pianeta”. Rilancia Mario Bellini, architetto e designer 8 volte Compasso d’Oro. Con una lettera al Corriere della Sera si interroga: “Perché Milano non ha un museo permanente del design che custodisca il passato e collezioni il presente?”. Una sede naturale, dal suo punto di vista, sarebbe quella del Pirellone, ormai libero (almeno fino a prova contraria) dalla presenza di EMA, l’Agenzia Europea del Farmaco. Una dopo l’altra arrivano le conferme: quella del candidato alla Regione Lombardia Giorgio Gori (“Sì all’idea di ospitare al Pirellone il Museo del Design che Milano attende”) e quella di Cristina Tajani, assessore del Comune di Milano (“Penso che ci siano le condizioni per affrontare seriamente la sfida, a patto che siano in diversi a sedere intorno a un tavolo per costruire un percorso credibile”), citando Triennale, Salone del Mobile, Associazione Disegno Industriale e istituzioni.
Il freno a mano, alla fine, lo tira solo Silvana Annicchiarico. Che mette i debiti puntini sulle i: “Ci risiamo. Come da tradizione, a ogni rinnovo del mandato del Consiglio d’Amministrazione della Triennale di Milano, si riapre la discussione sull’opportunità di istituire in città un Museo del Design. Come se questo non esistesse già. Credo sia doveroso ricordare a tutti che Triennale Design Museum, il primo museo del design italiano, è stato inaugurato in Triennale il 7 dicembre 2007”. Aggiungendo però anche un altro tassello del puzzle. Un progetto per ricavare proprio in Triennale un piano interrato da dedicare alla collezione permanente ci sarebbe già: visionato dal Consiglio uscente, resterebbe sul tavolo per quello a venire. Eppure gli imprenditori milanesi e brianzoli chiamati in causa sembrano sbilanciarsi a favore di un intervento più muscolare, di rottura. Giulia Molteni (Gruppo Molteni), sempre sul Corriere: “Un museo è un’operazione di marketing importante, non bisogna essere timidi. […] È inspiegabile che non ci sia ancora”. Maurizio Riva di Riva 1920: “Un museo va fatto. […] Non alla Triennale, bensì in un palazzo speciale sullo stile della nuova Feltrinelli”.
VALORIZZARE IL DESIGN
Voglia di novità, dunque, sfruttando la congiuntura magica che Milano sembra attraversare in questo momento? Non solo e non proprio. Al netto delle prese di posizione, la sensazione che Milano non riesca a valorizzare al meglio il proprio patrimonio nel design – ciò che più la contraddistingue e che di più prezioso le appartiene – sembra condivisa dai più. I quali non solo hanno presente gli esempi internazionali virtuosi, in primis quel London Design Museum che, almeno in Europa, ha finito per essere incoronato come l’istituzione più accattivante di settore, ma che considerano la mancanza di un luogo fisico permanente come un’occasione persa di visibilità, uno strumento azzoppato di storytelling. Il design italiano alla ricerca di una canonizzazione? Solo in parte, vista la sua fama quasi leggendaria. Probabilmente sarebbe più giusto parlare di un desiderio legittimo di celebrazione, di magnificazione: dell’esercizio di un culto della memoria – non succede in fondo la stessa cosa nei principali musei di arti decorative del mondo? – pensato per tramandare, per affermare in maniera imperitura, oltre che per offrire riletture critiche.
Al netto delle migliori o peggiori interpretazioni (Le sette ossessioni del design italiano di Andrea Branzi rimane di gran lunga la più affascinante, la meno didascalica), la successione delle mostre che animano un museo temporaneo riesce difficilmente ad aderire a questa logica. Né tantomeno ad allinearsi alla funzione strategica che la capitale economica d’Italia a diritto reclama.
Vedremo allora come si muoverà Stefano Boeri, neo Presidente della Fondazione La Triennale di Milano. Il quale, dal canto suo, sembra aver già indicato il suo orientamento: museo permanente sì, seppure tra le mura dell’istituzione di cui è ora alla guida.
‒ Giulia Zappa
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #42
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