Il suono sfida lo spazio. Arturo Hernández Alcázar a Napoli
Il legame tra archeologia e arte contemporanea torna a essere investigato nella città partenopea, con l’intento di creare nuovi immaginari connessi ai luoghi e concepire modi diversi di vedere e usare gli spazi. Il progetto “Underneath the arches”, a cura di Chiara Pirozzi e Alessandra Troncone, vedrà avvicendarsi artisti di fama internazionale all’interno del sito archeologico che conserva i resti dell’Acquedotto Augusteo del Serino nell'area Borgo Vergini - Rione Sanità, per attivare dialoghi con il luogo attraverso la costruzione di installazioni temporanee.
Dematerializzazione, concettualizzazione, ibridazione e collisione: l’Acquedotto Augusteo del Serino diviene la quinta scenografica di un’installazione site specific di Arturo Hernández Alcázar (Città del Messico, 1978), primo artista in residenza del programma culturale Underneath the arches, a cura di Chiara Pirozzi e Alessandra Troncone, realizzato in collaborazione con l’Associazione VerginiSanità.
In un quartiere considerato per anni stregua di una periferia difficile e ora protagonista di una rinascita culturale, le due giovani curatrici hanno deciso di porre le basi del loro nuovo progetto, che vedrà alternarsi artisti provenienti da diverse aree geografiche per interpretare lo spazio sotterraneo dell’acquedotto, innescando meccanismi di confronto tra passato e presente per farne indagine di linguaggi futuri sulla città. Il nome del progetto è dichiaratemene descrittivo, ma possiede anche una valenza evocativa; è il titolo di una famosa canzone Anni Trenta, ripresa poi da Gilbert & George nell’installazione The Singing Sculpture nel 1970, e sottolinea lo stretto legame che unisce il contemporaneo con l’antico.
BLIND HORIZON
Arturo Hernández Alcázar ha trascorso a Napoli più di un mese, ospite della Fondazione Morra, e ha ripercorso idealmente l’antico cammino delle acque, raccogliendo suggestioni nella città che ha poi registrato e campionato. Risultato del suo nomadismo dal tratto situazionista è l’installazione Blind Horizon, che l’artista definisce “scultura sonora”. Il suono, in qualità di materia, viene plasmato come una scultura e messo in dialogo con lo spazio, che subisce modificazioni concrete ma impalpabili. Otto megafoni si diramano nel sotterraneo e, collegati da fili sottili che saliscendono le grandi arcate, diffondono i suoni prelevati dalla realtà, nel quartiere, nelle fonderie, nelle ex fabbriche, per le strade, a testimonianza delle presenze che abitano i luoghi, dei tempi vuoti e del noise che accompagna e contraddistingue la città partenopea nel suo quotidiano.
METAFORE DEL CONTROLLO
“Il megafono è il simbolo del controllo delle masse”, afferma Alcázar, “come l’acquedotto serviva a controllare le acque, seppur in un equilibrio precario a causa delle pendenze da rispettare, così il megafono controlla l’andamento delle masse nelle manifestazioni, nelle prigioni, nelle scuole”. Il suono diviene quindi forza dirompente che modifica lo spazio. Blind Horizon è metafora di un orizzonte che è al tempo stesso controllato come un’architettura e cieco come in una notte oscura, perché in bilico tra la precarietà e la contingenza. La vulnerabilità corrode, consuma, distrugge, ma è anche in grado di ricostruirsi, trasformarsi e ridefinirsi.
‒ Francesca Blandino
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