Gershwin e Schubert secondo la MM Contemporary Dance Company
Doppio debutto al Teatro Asioli di Correggio per le nuove creazioni della MM Contemporary Dance Company. Michele Merola sceglie le musiche di Gershwin e il mondo pittorico di Hopper per raccontare l’America degli Anni Ruggenti; Enrico Morelli le melodie di Franz Schubert per evocare i contrastanti sentimenti d’amore.
Apre e chiude lo spettacolo strizzando l’occhio al musical, il nuovo lavoro di Michele Merola. E il titolo Gershwin Suite lo giustifica, essendo l’America il mondo evocato dal coreografo. Una pioggia di coriandoli dorati invade subito la scena e i dieci fibrillanti ballerini schierati in fila su un lato del palcoscenico, pronti a iniziare le danze, a riprodurre il clima, l’eccitazione, lo spirito liberatorio, e tutta l’energia nervosa degli Anni Ruggenti. Danze travolgenti, all’insegna della gioia di vivere, appena i danzatori si scompongono occupando frontalmente tutto lo spazio. L’euforia che si sprigiona è data dalle note del grande compositore americano, che fornisce alla creazione di Merola una colonna sonora inconfondibile alternando, nello sviluppo della coreografia, momenti di allegria a sequenze più liriche. “Mi piace pensare alla musica come a una scienza delle emozioni”, amava dire l’autore di Summertime e di Porgy and Bess. Ed ecco che Merola vira bruscamente atmosfera creando un raccordo emotivo, e visivo, con l’universo pittorico di Edward Hopper, altro grande artista che ha raccontato l’America in modo profondo, andando dritto alle radici del Paese.
Merola ci trasporta nei suoi paesaggi pittorici utilizzando dei bianchi pannelli spostati a vista. Complice una drammaturgia di luci calde, di ombre nette, chiaroscuri, fasci luminosi, si ricreano spazi intimi, luoghi assolati, interni domestici con sagome di porte e finestre. “Ho sempre voluto soltanto dipingere la luce del sole sulla parete di una casa”, sosteneva Hopper. Ed ecco che, accanto alle pareti, dietro o davanti, si consumano duetti e assoli, sensuali o malinconici. Poi aperte e ricomposte seguendo le linee marcate, quasi cinematografiche dei celebri quadri, come in un set danno aria a sequenze di gruppo che ricreano specifici dipinti hopperiani: come la fila di sdraio rivolta al sole per l’abbronzatura di uomini e donne di spensierata frivolezza sulle note della Rapsodia in blu, volteggianti nel chiacchiericcio tra le folate di un ventilatore per ripararsi dalla calura. Un interno con specchio e sedia riproduce un altro quadro di Hopper, il Soir Bleu, con un Pierrot solitario e triste, spaesato tra corpi fluttuanti come onde marine. Si susseguono quartetti, coppie immobili che si destano in turbinii di gesti col cambio di musiche (che includono quelle di Stefano Corrias), sequenze a terra e in verticale, e appassionati duetti. Se questo affresco americano regge la prova di suggerire atmosfere inesplorate con una modalità che sa unire linguaggi e visioni diverse, e conferma in Merola un vena compositiva articolata e ricca, qui con una propensione alla teatralità del corpo in movimento, si dovrà, forse, ancora cercare un amalgama più fluido che possa fondere con maggior scioltezza movimento, scena e musica.
MORELLI E SCHUBERT
Enrico Morelli sceglie invece Schubert come tessuto musicale per il suo nuovo lavoro Schubert Frames. Rifugge dall’inseguire l’architettura della partitura sulla quale costruire un’assonanza e una sintonia di movimenti che assecondino la melodia in maniera descrittiva. La coreografia, per nulla didascalica, pullula di vita propria come un racconto astratto, evocativo, sopra un sapiente collage di celebri brani del compositore viennese. Note che i danzatori sembrano aver assimilato intimamente facendone dei corpi musicali attraversati dalla melodia che scorre e vibra lungo le loro braccia, le torsioni, i salti, le linee e le curve che disegnano lo spazio. Quel moto gestuale ora ondivago, ora teso e nerbuto, ora fluttuante, ci dice la mutabilità dei sentimenti, i chiaroscuri delle relazioni e i tumulti dell’anima. Nella partitura coreografica c’è una ricchezza di movimenti che ritornano, imprimendo nuova energia ora convulsa, ora meditativa, anche nella sosta di posture statiche e di fermo immagine, preludio alle dinamiche del brano musicale successivo. L’atmosfera lunare (con ìgli effetti di luce ideati da Cristina Spelti), è data dal chiarore di un bianco tappeto sul quale convergono i danzatori. Si gonfierà impercettibilmente assumendo la forma sferica di una luna piena, per oscillare sospesa spandendo la sua luce sulla danza giocosa di un interprete, poi su quella vorticosa del gruppo con salti da fermi e continue cadute a terra. Dall’ensemble si staccano coppie per duetti, terzetti, e intrecci dettati da leggeri colpi dati sul petto, gesto che sembra marcare il partner prescelto. In una luce calda le coppie s’inseguono, si attraggono, si sgretolano, si distaccano, tornano a ricomporsi; le donne si lasciano cadere all’indietro richiamando ripetutamente la prontezza dell’uomo che corre a sostenerle. In questo bisogno dell’altro, nella fragilità di anime sperdute, nell’andare e ritornare tra braccia ingannevoli o sicure, nei vacillamenti dei corpi in cerca di sostegno, rimane infine l’ansimare all’unisono dei corpi rischiarati dalla luna.
‒ Giuseppe Distefano
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