Fluttuante & ancorato (VIII). Decadenza e inganno
“Se vuoi veramente arrivare lì dove la scrittura vive, scrivi come se fossi morto”, diceva il poeta irlandese Brendan Kennelly. Nuova tappa della rubrica di Christian Caliandro.
13 giugno 2013. Decay. Deception. Decadence.
Concrezioni, escrescenze.
L’ILVA di Taranto si vede benissimo dalla spiaggia, da Castellaneta Marina. Le ciminiere spuntano come alberi neri e nudi sul mare azzurro, marrone, verde. L’Italsider. È un rapporto di prossimità, di familiarità: fin da quando ero bambino. Il fumo si intuisce – le scorie pure. Castellaneta Marina è la preda di un lento processo di decadimento in corso da circa quindici anni, che ora è giunto a piena maturazione.
È un luogo di villeggiatura in decomposizione: la decomposizione degli Anni Novanta (della nostra adolescenza?). E c’è anche la gloria di questa decomposizione. Percorrendo il viale principale in macchina, queste ville che crollano rimanendo in piedi, che cadono a pezzi al rallentatore hanno una loro dignità. La sequenza è molto più bella adesso, più significativa, che nella sua età dell’oro.
Questo giugno vuoto, assolato, nuvoloso, solitario, promette di schiudere tante perle oscure. Il presente è in piena ombra.
A capo.
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È Home dei Depeche Mode (che pure mi ha fatto piangere arrivando a Bari sotto un cielo tempestoso per la prima presentazione di Italia Revolution: non la sentivo dal giorno del mio matrimonio, cinque anni fa) la colonna sonora dei miei diciotto anni, della maturità, di un pomeriggio al mare con la mia ragazza del liceo incantevole nella sua brutalità, disadorno: un pomeriggio in cui non è accaduto assolutamente nulla, solo io steso sull’asciugamano con le cuffie del Walkman e questa cassetta dei vucumprà di un album perfetto appena uscito, e questa canzone che davvero da allora in poi è diventata per me casa, il luogo a cui tornare: AND I THANK YOU / FOR BRINGING ME HERE / FOR SHOWING ME HOME / FOR LET ME UNDERSTAND / I BELONG HERE.
È la consapevolezza che questa disidentificazione è e sarà il mio paesaggio spirituale: quello che ho conquistato. Non so chi altro l’abita, ma ho appena cominciato a saggiarne il potenziale di attrazione. Più ne comprendo le qualità e gli aspetti, più voglio e devo capire.
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I segnacoli di Palestrina, nella ricostruzione degli archeologi, disegnano questo cimitero alieno. Teste e pigne di pietra spuntano con regolarità dal terreno. Sorgono da collinette, disegnano crateri, organizzano questo silenzio spaziale antichissimo. Ecco com’è la cantina di zio Modesto. Nulla di vivo là dentro a parte le etichette scritte a mano che distinguono l’olio nuovo da quello più “carico” dello scorso anno. Compilazioni di lapidi, segnali anche quelli, grossi colli di vetro disposti in ordine sul pavimento. Tutto ordine, odore di muffa, sepolcrale: “Smells like old spirit”.
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14 giugno 2013: il declino di Costa Verde. È il regno della nostra infanzia. Una pizzeria arabeggiante, bianca e verde, al centro esatto di Castellaneta Marina e all’incrocio delle tre strade principali: adesso è un luogo in rovina, infestato da topi e fantasmi. Sembra che ci sia divampato un incendio, ma non è così: l’unico incendio di questi anni, di queste estati, è quello del tempo e dell’incuria. Mi fa venire in mente la Dorothy Gale del 1985, che in Return to OZ torna nel regno fantastico e lo trova devastato, pietrificato, mummificato. I colori sono scomparsi, è tutto ammuffito, incenerito, svuotato.
2 marzo 2018. Si finge normalità – si installa normalità – si disinstalla normalità – si smonta e si rimonta normalità: e la normalità durante, poi, si rivela per quello che in fondo è: un tentativo.
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29 giugno 2013. Prima ho visto in centro una ragazza che dava il braccio alla madre, mentre cercava di salire sull’autobus. L’operazione era resa più difficoltosa dal fatto che ai piedi indossava scarpe con i tacchi piuttosto alti, ma l’angolo delle caviglie era impossibilmente curvato. Una malformazione. Non le ha impedito di camminare con scarpe scomodissime. È una lotta? O semplice ostinazione? Che cosa c’è dietro questo tentativo desolato e commovente dietro e dentro questa ragazza caparbia? Una resistenza, o l’ultima soglia del conformismo?
Adesso un’altra donna, meno giovane, al ristorante giapponese che ha appena inaugurato l’offerta ALL YOU CAN EAT non la smette di ridere (una risata volgare, insopportabile, isterica): è la risata della crisi, di chi si è abituato a vivere in questa fine e mangia a crepapelle (“MANGI FINO A SAZIETÀ”), perché a pranzo c’è l’offerta (: un’offerta che, mi fermo a riflettere mentre vado a pisciare, starà finendo di stroncare gli altri ristoranti della zona…). E ride. Ride ride ride. Ride senza gioia. Ride come chi non ha nulla da perdere, ma continua a fingere.
‒ Christian Caliandro
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