La bellezza ama nascondersi. Quattro artisti di Praga a Roma
Z2o Sara Zanin Gallery, Roma ‒ fino al 19 maggio 2018. Group-show con protagonisti quattro artisti di Praga. Tanti i lavori presentati, allestiti sia negli spazi della galleria, che in giro per il centralissimo rione Ponte, in diversi esercizi commerciali.
Quattro artisti di Praga danno vita a Roma a un progetto piacevolmente allargato. Strutturato in parte in galleria, e in parte in diversi esercizi commerciali del rione Ponte. Prevale la propensione a esplorare con occhi contemporanei il concetto di memoria, per lo più attraverso la pratica del prelievo. Negli interventi, destrutturanti e rievocativi, compaiono infatti scrivanie moderniste, tv a manopole, statuette, vassoi, telescopi. Sorprende un tenore generale fatto di ruvida genuinità e schietto lirismo, oggi piuttosto raro visto che il paradigma vintage/retromaniac è quello imperante.
Krištof Kintera – con Marina Dacci anche curatore della mostra – ha una forte attrazione per i cablaggi elettrici ed elettronici, con la cui struttura filamentosa va a evocare l’universo vegetale. La traccia è interessante, ma gli esiti spesso troppo naif: il plastico di una casa poggiata su un grumo di cavi che si sviluppano come radici fa solo sorridere. Va meglio quando Kintera erige totem di oggetti: la sua progressione di cuscini che, pur se deformati dall’uso, si sviluppa in verticale ha un assunto semplice e concettualmente forte, ed è anche ben formalizzata.
Hanna Hulačová è più “classica” sul piano mediale. Propone disegni e lavori scultorei caratterizzati da una compostezza metafisica che cattura. I disegni sono scenette mistico-iconiche; in essi misteriose epifanie notturne sono ritratte secondo canoni avanguardisti, e animate da una grazia come di ricamo. Convincono anche i busti dal volto azzerato, e i vassoi: i primi risultano sia arcaici che intrisi di rimandi all’estetica della fantascienza; i secondi, disposti a parete, sono così lucenti da apparire reperti di viaggi siderali.
SCERANCOVÁ E WIESNER
Pavla Scerancová interviene direttamente sull’oggetto prelevato, con una predilezione per il desueto. Agisce sovvertendo l’aura spenta e nostalgica di sculturine o vecchi apparecchi, con esiti più convincenti quando il tema è più aperto ed evocativo. Una macchina da cucire è incastonata in una struttura di nervature d’acciaio, la quale ricalca il corpo della nonna dell’artista intenta a lavorarvi. In un’altra opera (la migliore) il canto immaginario di un uccello in ceramica è un’armatura costruttivista che sostiene e solleva l’animale stesso.
Richard Wiesner interviene su oggetti d’affezione rinvenuti nell’appartamento di un anziano. Con un procedimento di “autosufficienza” che si ripete: ne incapsula alcuni lacerti in “bolle” quadrangolari trasparenti, che applica poi sugli stessi oggetti da cui proviene ciò che contengono. Il che produce un effetto ambivalente, di concrezione da invecchiamento, e insieme congelante e avveniristico. L’insieme risente di un po’ di pesantezza concettuale, ma i passaggi più sciolti (la scrivania) hanno intensità e genuina forza poetica.
‒ Pericle Guaglianone
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