Se non fossero caratterizzate da tanta ingenuità, e pure goffaggine, ci sarebbe di che preoccuparsi, per certe vicende che vengono a galla legate ai momenti successivi alla scomparsa di Piero Dorazio, il grande artista astrattista morto nel 2005. Preoccuparsi del fatto che ancora una volta – e gli esempi passati sono tanti – l’eredità di un artista passi per una trafila massacrante per la sua immagine, fatta di tribunali, carte bollate, speculazioni e losche manovre. E invece qui le vicende si leggono quasi come davanti alla trama di un film giallo, con accenti tanto paradossali da apparire quasi inverosimili. E anche se sì, c’è di mezzo un tribunale, la cosa appare limitata a uno specifico evento, e quindi non generalizzata.
La scena è quella dell’Umbria – dove Dorazio visse per gli ultimi trent’anni -, e noi la ripercorriamo con l’ausilio delle cronache di tre quotidiani locali, che l’hanno seguita, con toni pressoché uguali, agli inizi di febbraio. Abbiamo cercato di verificare le fonti, ma comunque ad avvalorare il tutto ci sono richieste di rinvio a giudizio sollecitate dalla procura con un’udienza preliminare fissata proprio a febbraio, ma slittata al 12 aprile a causa di un problema procedurale. Qualora fosse necessario, va sottolineato che un rinvio a giudizio non significa in nessun modo una condanna, ma solo la necessità che una corte si esprima.
Al centro delle accuse c’è la sparizione di venticinque quadri custoditi nell’abitazione-studio del maestro a Todi, e l’autrice del furto – stando a quanto scrive La Nazione – sarebbe “la ex compagna, la newyorchese Margaret Boberek, 63 anni”. Tra febbraio e luglio del 2006 – prosegue la ricostruzione del quotidiano – “venti tele sparirono, stessa sorte per altre cinque scomparse qualche mese dopo. In quella casa – ricostruirono gli agenti della sezione di polizia giudiziaria – abitava Boberek, già convivente di Dorazio. L’altro figlio del maestro, Justin aveva però girato un filmato, riprendendo uno a uno tutti i dipinti del padre, e aveva depositato la cassetta in tribunale proprio per evitare eventuali sottrazioni”.
È a questo punto che entra in scena un’altra indagata, e la vicenda assume toni quasi comici, se non si trattasse di reati. Si tratta di una cancelliera della sezione distaccata di Todi, Linda Varini (ora impiegata al tribunale di Foligno), “che avrebbe fatto sparire il filmato depositato da Justin Dorazio in tribunale per immortalare lo stato dei luoghi e tutte le opere che aveva lasciato il padre in eredità alla sua morte, nel maggio del 2005”, sempre stando al resoconto del quotidiano. Ma sono le circostanze del presunto favoreggiamento, peculato e simulazione di reato – queste le accuse a cui deve rispondere la cancelliera – a stupire per goffaggine: “Il 7 maggio la donna”, prosegue la Nazione, “denuncia ai carabinieri il furto della sua borsa lasciata nell’auto parcheggiata, dove aveva riposto la cassetta di Dorazio junior, che invece doveva essere nella cassaforte del tribunale. Ma Varini si rivolge all’Arma – le contesta ora la procura – solo dopo che il giudice di Todi aveva autorizzato uno degli eredi a estrarre copia del documento video. Un documento che avrebbe immediatamente portato alla luce l’ingente furto”.
Finito qui? No, perché a questo punto entra in scena un personaggio molto noto a tutto il mondo dell’arte, il gallerista fiorentino Roberto Casamonti, titolare del network multilocato della Galleria Tornabuoni. Anch’egli coinvolto, e indagato nell’ambito della vicenda con una richiesta di rinvio a giudizio per ricettazione. Avrebbe venduto – sostiene il quotidiano – “uno dei quadri rubati di Dorazio a un privato – il ‘Dipinto nel cuore rosso’ – per 40mila euro, sostenendo che proveniva da una galleria di New York”. In questo caso, Artribune ha potuto verificare la notizia alla fonte, chiedendo allo stesso Casamonti la sua versione dei fatti. Ci ha risposto con una lunga missiva, ve ne proponiamo alcuni brani significativi. “Dopo alcuni mesi della morte di Dorazio”, scrive il famoso gallerista, “ho acquistato un quadro direttamente dalla Sig.ra Boberek, senza poter minimamente immaginare che questo non fosse nella legittima proprietà della Sig.ra Boberek. Nutrivo fiducia in lei e quando me lo ha venduto non avevo modo di pensare che la donna che avevo frequentato con Dorazio si fosse illegittimamente appropriata del dipinto (se ciò è vero). Ho pubblicato il quadro sui miei cataloghi, spedendolo a oltre 3mila collezionisti. Sul catalogo ho indicato come provenienza la galleria Moeller di New York come risultava dall’etichetta a tergo del dipinto. Sinceramente non capisco come il giudice possa pensare che, non avere pubblicato sul catalogo ‘Collezione privata Roberto Casamonti’, fosse stato con lo scopo di nascondere qualcosa. Ho citato la galleria Moeller per la bellissima mostra organizzata a New York e per il catalogo su cui avevano pubblicato il dipinto in questione. Preciso anche che, essendo stato il quadro sottratto dopo la morte di Piero dalla sua casa, è chiaro che la galleria Moeller lo aveva restituito all’artista al termine della mostra. Non ho mai sostenuto di avere comprato il dipinto dalla suddetta galleria, ma ho sempre dichiarato di averlo comprato dalla Sig.ra Boberek”.
Questione intricata, ad aprile si saprà qualcosa, dopo la prima udienza. Questione comunque circoscritta a quei 25 dipinti, dei quali nelle more del procedimento si conosceranno certamente anche i dettagli. Ma per restare, in termini generali, all’“eredità” Dorazio, Artribune è in grado di anticipare una notizia: proprio in Umbria – anche se i dettagli sono ancora troppo indefiniti – si sta lavorando a una struttura pubblica dedicata alla memoria del grande artista. Riusciremo presto a fornire altre informazioni, il prossimo step pare sia fissato proprio ad aprile.
Eleonora Antini
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