ANXIETINA è un progetto espositivo commissionato dal museo di Ginevra all’artista inglese Hannah Black (Manchester, 1981), curato da Andrea Bellini. La mostra si sviluppa in due sezioni: — NXIETIN e A – – – – – – A. Nucleo centrale è NXIETIN, la performance installazione del secondo piano del museo, nuovo capitolo della saga di Anxietina, già presentato al MoMA PS1 di New York, al Chisenhale e ICA di Londra. Anxietina è l’eroina protagonista del racconto messo in scena da Hannah Black, che nel museo di Ginevra si colloca all’interno di una scenografia spazialmente e musicalmente complessa, dove dimensione esteriore e interiore si confondono.
Siamo in uno spazio costruito su più livelli, labirintico e di controllo: Hannah Black veste un giubbotto con la scritta “insecurity” e la scenografia è composta da pareti gonfiabili, le stesse usate solitamente dalla polizia e nelle esercitazioni militari. La soggettività di Anxietina scorre nelle parole e nella deambulazione di Hannah Black, mentre Bonaventure è alle prese con la musica ed Ebba Fransén Waldhör opera come in sala di regia. Il pubblico è seduto tra le porzioni di mura gonfiabili e, sparsi qua e là, degli schermi proiettano ambientazioni da videogiochi. Sulle pareti di fondo blu notte vi sono una serie di figure luminescenti e adesive, per lo più a carattere sessuale. Siamo immersi in più realtà, generate a più riprese dall’ansia dell’eroina e da quella energica della collettività: “Anxietina you are late under the shower vibrating with universal energy, universal liquid soap”. L’atmosfera è pre-apocalittica: è la fine del mondo o è l’inizio del mondo? Si può dimenticare se stessi? La sola cosa di cui Anxietina ha bisogno è la bellezza ‒ è così che auto-confessa. Anxietina condivide con ognuno di noi la routine degli impegni quotidiani e delle complicazioni relazionali, ma la notte il carico d’ansia la trasforma in ANXIETINA, una forza simultaneamente benevola e diabolica, capace di connettere il passato con il futuro, il presente con la storia. “Anxietina, please redeem us!”
LOOP ANSIOGENI
Nel loop di pensieri e intimismo ansiogeno ritorna più volte il refrain: “In the middle there’s nothing, like nothing” e dopo ricordarsi che il mondo è finito molte volte, in una sorta di rassicurazione interrogativa. Durante la performance, il corpo dell’artista si muove con spalle curve come a sentire il peso dell’inconscio collettivo che si scontra con la soggettività: è esperita la catastrofe dello spazio domestico, insinuata a partire da Internet, dalla sua estetica e socialità. Nelle ultime parole dette sembra che l’artista non riesca a deglutire, il climax giunge al dramma finale: “If you think that I know what I need then show me”.
La scenografia della performance compone l’impianto espositivo del secondo piano, che si completa al terzo piano, nella sezione A – – – – – – A. Qui sono esposti i poster con alcuni frammenti del testo della performance, parti della scenografia della performance realizzati da Ebba Fransén Waldhör, una serie di video e sculture e un frammento del suo solo show presentato all’ICA. Quest’ultimo consiste in una pila di copie del booklet The Situation e ai piedi i frammenti stracciati del libro.
SCRITTURA E PERFORMANCE
La scrittura è una componente centrale nell’opera dell’artista, la quale, forse, prima ancora che come artista dovrebbe essere presentata come scrittrice. Dark Pool Party (Dominica/ Arcadia Missa, 2016) e Life ‒ nato in collaborazione con Juliana Huxtable (Mumok, 2017) ‒ sono le sue due pubblicazioni, oltre alla serie di numerosi articoli e contributi critici che l’artista scrive regolarmente.
The Situation è la messa in crisi di una situazione : “Sometimes _______ it didn’t feel clear whether I wanted to talk about the situation of the exhibition or the situation of the world or my specific situation as a really existing person beyond ______ this book” . Domande retoriche pongono stralci poetici e critici nei confronti della realtà, forse strategie per abolire l’analogia, uno dei tentativi stilistici dell’artista. Del resto i suoi testi sono un sincretismo tra critica, poesia, script di video/performance, ossessioni post-Internet e contenuti afro-femministi e comunisti. Nei suoi testi, perfino l’amore e l’alienazione coincidono. Biologia, sociologia e tassonomia sono le discipline di supporto nell’analisi critica e poetica condotta dall’artista.
Proseguendo nella mostra, il trittico del video Beginning, End, None (2017), a partire da una narrazione soggettiva, analizza l’ambivalenza di un’analogia scientifica popolare: la cellula biologica come una fabbrica. L’analogia genera in questo caso un ribaltamento: la mercificazione della cellula e la naturalizzazione della fabbrica. La voce narrante, in modo poetico e perturbante, ci fa riflettere sulla violenza del capitalismo, capace di fagocitare anche la nostra natura, perfino le cellule. Vengono interrogate le membrane, come in uno dei poster realizzati con Bonaventure ed esposto in mostra, dove troviamo una serie di vignette in bianco e nero ‒ i colori specifici delle opere in mostra ‒ illustranti l’esoscheletro della storia animato delle onde dell’ansia collettiva.
REGISTRI DIVERSI
La serie Blankets (2015), esposta nella prima sala, è costituita da coperte assemblate in modo da sembrare quadri. La serie è un feticcio rappresentante in due formati diversi il corpo del singolo e quello di categorie come le nazionalità o le corporation. Dal titolo sono classificate con i nomi di differenti compagnie di volo, a ricordare anche l’alienazione degli spostamenti del lavoro capitalista, tema già esplorato nel libro Life, insieme alla sua amica e co-autrice Juliana Huxtable.
L’opera Cloth Mothers, del 2013, è composta da una serie di oggetti prodotti per il video All My Love All My Love, che esplora il rapporto tra tecnologia e affezioni. L’ultima sala, infine, accoglie il video Power Cut 1970, del 2012, che con una narrativa frammentaria tratta alcuni dei temi più cari all’artista: teorie marxiste, cultura pop, identità, radical black theory.
Il lavoro di Hannah Black riesce a condensare una moltitudine di registri diversi. La complessità della nostra contemporaneità è simultaneamente affrontata con rigore critico e ingegno poetico. Nella sua scrittura e nella sua metodologia artistica rientrano moti centrifughi di critica istituzionale a cui abbina forze centripete di re-enactemnet sociale e storico, cut-up pop e contaminazioni stilistiche, capaci di preservare quella preziosa zona dell’arte che ci chiede di pensare.
‒ Sonia D’Alto
Ginevra // fino al 22 aprile 2018
Anxietina
CENTRE D’ART CONTEMPORAIN
Rue des Vieux-Grenadiers 10
www.centre.ch
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