In ricordo di Miloš Forman, regista oltre le convenzioni
A pochi giorni dalla morte di Miloš Forman, un excursus sulla carriera del regista che ha firmato alcune delle pellicole entrate di diritto nella storia del cinema.
“La chiamata alle armi significa che dei bianchi di pelle mandano dei neri di pelle a fare la guerra contro dei gialli di pelle, per difendere la terra che loro hanno rubato a dei rossi di pelle”.
Hair
Miloš Forman era uno di quei grandi registi capaci di creare film come opere, un maestro in grado di insegnare lo stile e il gusto di un’epoca, di guidarli costruendo figure e figuranti come protagonisti di storie che andavano oltre il film stesso.
Oggi, a cinquant’anni dagli Anni Settanta, basterebbe citare Hair con i costumi di Ann Roth per spiegare la sua capacità di costruire icone con cui ancora ci confrontiamo, o l’epico McMurphy interpretato da Jack Nicholson in Qualcuno volò sul nido del cuculo o ancora Amadeus, dove Tom Hulce interpreta la follia del genio di Mozart, in un concerto cinematografico meraviglioso.
Jan Tomáš Forman, vero nome di Miloš, a 12 anni è orfano del padre morto a Buckenwald e della madre uccisa ad Auschwitz; cresce in Cecoslovacchia, dove è nato nel 1932, e si forma al cinema con la passione per Chaplin e Buster Keaton e alla scuola di Cinematografia di Praga.
Arriva negli Stati Uniti all’inizio degli Anni ‘70 con l’unico bagaglio di una cultura europea temprata dalla sofferenza privata e dalla guerra, in questo periodo scoprirà anche di essere figlio di una relazione della madre, e non di quello che credeva suo padre; girerà nel 1971 Taking off sul distacco fra genitori e figli, sulla contestazione dei ruoli ognuno con i propri vizi, la droga per i giovani e l’alcool per gli adulti.
QUALCUNO VOLÒ SUL NIDO DEL CUCULO
Nel 1975 realizza Qualcuno volò sul nido del cuculo ambientato in un manicomio criminale, uno dei pochissimi film che, nella storia del cinema, abbiano vinto i cinque Oscar più importanti: miglior regia, miglior film, miglior attore protagonista, migliore attrice protagonista e miglior sceneggiatura non originale.
La storia della produzione del film è affascinante: Kirk Douglas aveva capito il valore del successo che aveva avuto il libro, tanto da farne un arrangiamento teatrale a Broadway e quando incontrò Miloš Forman gli propose di leggere il libro per realizzare il film. Forman era in Cecoslovacchia e lì, in pieno clima di controllo militare contro i moti della Primavera di Praga, il libro non arrivò mai, confiscato dalle autorità. Douglas cedette i diritti al figlio Michael che riuscì a dare il libro a Miloš Forman quando emigrò definitivamente in America, senza che lui sapesse che era lo stesso libro proposto dal padre.
Ken Kesey, l’autore del libro, non vide il film e con lui non fu raggiunto alcun accordo: chi ha letto il libro sa che la prospettiva è diversa, essendo narrato in prima persona dall’indiano americano. La scelta di Forman esalta McMurphy, interpretato da Jack Nicholson, come contestatore delle istituzioni rappresentate dalla odiosa infermiera Ratched.
Nicholson divenne un’icona, lui e il suo cappellino di lana da marinaio influenzarono lo stile di un’epoca, e restano ancora oggi la divisa della rabbia alternativa ai lunghi capelli degli hippy, quel giubbotto e quel berretto che copre a malapena la testa vestono gli outsider da allora.
Vale la pena sottolineare che Jack Nicholson aveva appena rifiutato la parte del colonnello Kurtz in Apocalypse Now, e che il personaggio del ricoverato confermò il successo di un carattere imprevedibile come il tempo che viveva, lunatico e sexy con il ghigno di chi ha conquistato a fatica la popolarità. Come Miloš Forman, anche lui scopri da ragazzo che i suoi genitori non erano quelli che credeva.
Aggie Guerard Rodgers è la bravissima costumista che riesce a tradurre l’idea del regista in un lavoro non facile, dove le divise del manicomio sono predominanti, ma ogni malato ha qualcosa sopra o sotto il camice che lo contraddistingue: McMurphy un t-shirt verde militare, ad esempio. Nasce una metodologia che contribuirà alla costruzione di film appartenenti a generi diversi, ma sempre curati dalla cultura e dallo stile europeo uniti alla professionalità americana.
DA AMADEUS A JIM CARREY
Amadeus, del 1984, è considerato un capolavoro assoluto per i costumi, realizzati dalla sartoria Tirelli, che valsero l’Oscar a Theodore Pistek, anche lui cecoslovacco, che qui compie un lavoro più artistico che cinematografico, lui, che voleva fare il pittore e basta, cambia idea grazie al connazionale per cui realizza anche Valmont nel 1989.
Amadeus vincerà otto Oscar e molti altri premi internazionali tra cui quattro Golden Globe.
Hair è il film archetipo di tutto il genere hippy musicale e non dal 1979 in poi. Tratto dal musical omonimo di Broadway, arriva in ritardo rispetto agli anni della contestazione pur celebrando la rivolta di chi non si tagliava i capelli perché non voleva fare la guerra in Vietnam. Forman era già un regista di culto con cui tanti volevano lavorare, ai provini furono scartati anche Madonna e Bruce Springsteen.
Tre titoli che figurano nella lista dei film alla base della storia del cinema, ma vanno citati anche Ragtime, che riporta sulle scene James Cagney, e Larry Flynt ‒ Oltre lo scandalo, Man on the moon, dedicato al comico Andy Kaufman con Jim Carrey, o l’ultimo lavoro da regista, L’ultimo inquisitore, del 2006, su Goya. Da quel momento Forman decise di lavorare, a volte, nel ruolo di attore, come in Les bien-aimés, del 2011.
Miloš Forman non ha più girato film per una malattia degenerativa che limitava la sua vista, ed è morto negli Stati Uniti, dove viveva con la famiglia.
‒ Clara Tosi Pamphili
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