Würth inaugura un progetto di Markus Redl a Capena. L’intervista all’artista
In occasione del terzo appuntamento con i martedì critici, abbiamo incontrato l’artista Markus Redl che ci ha raccontato del suo lavoro e dei suoi progetti futuri…
Un’oasi di pace a soli 30 km da Roma. Erba tagliata all’inglese, una zona per mangiare all’aperto e un grande spazio per l’arte. Tutto questo è la fabbrica Würth a Capena che da più di dieci anni organizza mostre ed attività culturali con le opere provenienti dalla collezione privata del fondatore Würth.
MARKUS REDL A CAPENA
Austriaco, dallo sguardo di ghiaccio e dalle mani da pianista, così si presenta l’artista Markus Redl (Klosterneuburg, 1977) in occasione del terzo incontro dei martedì critici all’ Art Forum Würth a Capena. Abbiamo parlato con lui e ci ha raccontato da dove nascono le sue opere: grandi sculture in marmo bianco di Carrara che prepotenti conquistano lo spazio che le circonda. Un bianco assordante, che colpisce, rotto da scritte infuocate, indizi lasciati qua e là sul suo lavoro. “Opere parlanti” vengono definite da alcuni critici. Lavori pesanti, lenti, che lo stesso artista realizza e che ben si contrappongono alla frenesia del mondo contemporaneo. E se qualcuno gli chiede “il tuo gesto può considerarsi eroico nella nostra epoca?” lui sorride. Abbiamo incontrato Markus Redl, uno degli artisti austriaci più importanti della sua generazione, e gli abbiamo chiesto di parlarci del suo lavoro.
Ci racconti da dove nasce la tua passione per l’arte?
Ero piccolo, non mi ricordo che età avessi. Forse dieci anni o forse un po’ di meno. Non sapevo cosa facesse un artista né chi fosse, non conoscevo ancora questo termine, quindi alla domanda “cosa vuoi fare da grande?” con grande sicurezza rispondevo “il pittore, naturalmente”. Poi ho iniziato a studiare ma al momento dell’ammissione all’Accademia di Belle Arti sono stato rifiutato. É stato un fallimento difficile da superare, perché fare l’artista era tutta la mia vita. Allora mi sono iscritto a psicologia, finché un’amica non mi ha chiesto “ma perché non riprovi ad entrare in Accademia?” e allora mi sono stupito di me stesso. Perché non ci avevo pensato prima? Ed ecco che questa volta ci sono riuscito.
Che rapporto hai con la tradizione artistica?
La tradizione è un termine difficile da utilizzare in accademia, quasi viene rifiutato. L’ho frequentata in un periodo in cui il non figurativo, il concettuale regnava, ero quasi un outsider con le mie idee. Utilizzo molto il marmo per il mio lavoro, ma pensate ai grandi artisti del passato o alla statuaria greca, come veniva utilizzato? Per celebrare le persone ritratte, la loro bellezza e raffinatezza. Le mie opere invece sono di persone ai margini della città, anche brutte esteticamente: barboni, mendicanti, demoni o parti del corpo mozzate.
Ci puoi parlare del tuo progetto Biblioteca di Pietre?
Ho iniziato a lavorare alla Biblioteca di Pietra nel 2004. Sono opere in marmo di Carrara su cui aggiungo parole o frasi che sono come degli indizi che dò allo spettatore per interpretare il mio lavoro. Però viene fatta anche una classificazione ulteriore se così la possiamo definire. Le opere vengono accompagnate a note che fanno riferimento a testi che ho letto prima o durante la realizzazione del lavoro. Alcune volte possono essere anche frasi che vengono dette da persone. Diciamo che è un po’ un segreto dell’artista che non posso svelare…
Utilizzi molto anche il disegno: ma cosa rappresenta nel tuo processo artistico?
Il disegno fa parte di un percorso che faccio per arrivare alla scultura. Per me disegnare è come scrivere. Basta pensare al passato, ai geroglifici, erano segni che venivano utilizzati per raccontare qualcosa. Questo è quello che faccio anch’io in un’epoca diversa.
Per concludere quali sono i tuoi progetti?
Sto cercando di realizzare una grande scultura da un blocco di marmo e desidero fare un ritratto di una donna giovane, molto bella, posta come un faraone e in mano una scatola vuota e sul cubo su cui è seduta aggiungere una scritta “conta solo la casetta” ma in tedesco. Da noi è un gioco di parole che rimanda al passato però attualizzato al presente, desidera criticare il sistema dell’arte contemporanea dove contano solo le quotazioni e il mercato. Le persone però non noteranno questa frase e difficilmente capiranno il significato perché si soffermeranno sulla bellezza dei lineamenti. Mi piacerebbe poterla ironicamente esporre in occasione di una fiera d’arte. Infine tornerò in Italia, a Torino, per Artissima dal 1 al 4 novembre.
– Valentina Poli
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