La Segunda Vez di Dora García (Valladolid, 1965) è in realtà la sua prima personale al Museo Reina Sofia. Il titolo è ispirato a un racconto di Julio Cortázar, ma si riferisce anche a uno dei lavori più recenti dell’artista: una serie di cortometraggi, più un vero e proprio film, dedicati alla figura dimenticata di Óscar Masotta, artista e intellettuale argentino, pioniere della performance negli Anni Sessanta a Buenos Aires (in mostra al terzo piano).
Dora è oggi considerata una delle figure più significative nell’ambito dell’arte concettuale in Spagna, complice il successo ottenuto grazie al padiglione spagnolo alla Biennale di Venezia del 2011.
Difficile riassumere in poche parole l’indagine estetica di una artista concettuale pura, che si nutre principalmente di filosofia, psicanalisi e di politica per esprimere attraverso formati e mezzi diversi ‒ dal disegno al video, dall’installazione al teatro e soprattutto alla performance ‒ il senso del limite fra realtà e rappresentazione. Dora rende visibili i processi comunicativi culturali ed esplora la relazione tra l’artista, l’opera e il pubblico, coinvolgendo spesso quest’ultimo attraverso la forma diretta della performance dal vivo, cercando di mostrare la realtà sotto prospettive diverse, alternative. Fondamentale è il suo interesse per la marginalità psichica e sociale, per l’esilio della mente e per la dissidenza, politica e intellettuale.
C’È UN BUCO NEL REALE
Con questa frase del filosofo Jacques Lacan, scritta a caratteri dorati nella prima sala della mostra al terzo piano del Reina Sofia, ci si addentra nel mondo magmatico e psicoanalitico di Dora García. L’esposizione è realizzata con un impianto teatrale e propone opere degli esordi (fine Anni Novanta) insieme a produzioni più recenti, evitando il percorso cronologico ma privilegiando l’accostamento di momenti narrativi e la circolarità dei temi di ispirazione.
I pezzi sono distribuiti in diversi spazi dell’edificio Sabatini: la maggior parte si trovano nelle sale espositive al terzo piano, alcuni occupano la sala del Protocollo al pian terreno (ex farmacia e poi deposito per la biancheria dell’antico ospedale fondato da Carlo III) e altri nei suggestivi sotterranei del museo. Qui la mostra si conclude con Odradek (2018), un progetto sonoro concepito espressamente per questo spazio oscuro, con il soffitto a volte, basato su La preoccupazione di un padre di famiglia di Kafka.
Tra le opere più significative ci sono la lista delle 100 Opere d’arte impossibile (2001), parte dell’archivio de L’Inadeguato, realizzato in occasione della Biennale del 2011, il poetico video de La lezione respiratoria (2001) tra una donna adulta e una giovane, ed Exile (2013), opera collettiva e work in progress fatto di documenti e di oggetti inviati al Museo di Telaviv da diversi artisti, tra i quali anche gli italiani Aldo Piromalli, Giulia Girardello e Mattia Pellegrini. Da seguire è anche il complesso video dedicato al circolo di Finnegans Wake, la lettura continua dell’ultima opera circolare di James Joyce (altro degli autori prediletti da Dora), intorno al quale l’artista presenta anche una tavola di libri, documenti e scritti che ne riflettono il contenuto.
PERFORMANCE CONTINUA
Una mano italiana muove il fitto apparato di performance che Dora Garcia ha predisposto per l’intero periodo di allestimento della mostra a Madrid. È quella di Michelangelo Miccolis (nato a Città del Messico nel 1981 da madre italiana) che da sette anni, cioè dalla Biennale di Venezia, collabora stabilmente con l’artista spagnola sia come performer che come regista della maggior parte delle sue performance. “Il mio ruolo è prima di tutto quello di coordinare le performance. Tra queste, tre si svolgono tutti i giorni, e in maniera continuativa, lungo il percorso della mostra”, racconta Miccolis. “La prima è Instant Narrative (2006-08), in cui una giovane seduta a un computer descrive in tempo reale (e lo proietta su un maxischermo) ciò che le accade intorno, compreso il passaggio dei visitatori, che assumono il duplice ruolo di spettatori e di protagonisti della narrazione che si proietta sopra le loro teste. La seconda è The Sinthome Score, (2013 e 2015), una sessione di lettura e libera interpretazione corporale di un testo di Jacques Lacan; la terza invece è la più statica, si intitola Two Planets e consiste nella ricerca di equilibrio e di equidistanza fra due performer negli spazi di due grandi circoli disegnati per terra”. “A me spetta infine” ‒ conclude Miccolis ‒ “interpretare durante i weekend L’artista senz’opera (2009), un monologo che si struttura come una visita guidata di opere inesistenti, in cinque discorsi e quattro fermate”.
Nel corso dell’estate, a intervalli regolari, si svolgerà un fitto calendario di eventi collaterali alla mostra, per celebrare l’arte performativa di Dora Garcia.
‒ Federica Lonati
Madrid // fino al 3 settembre 2018
Dora García ‒ Segunda Vez
Museo Reina Sofia
Calle Santa Isabel 52
www.museoreinasofia.es
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