Chi ha paura delle aste italiane di fotografia?
Come viene percepita, da pubblico e addetti ai lavori, la presenza di opere fotografiche nelle aste nostrane? Lo abbiamo chiesto a due esperti.
Quando un nuovo mercato inizia a espandersi e a trovare un proprio assetto può dare origine a qualche malumore. Vecchi equilibri che sembravano da sempre consolidati si incrinano creando falsi allarmismi e reazioni più di pancia che di testa. Abbiamo già ricordato da queste pagine come il mercato della fotografia italiana stia rapidamente recuperando quel terreno che la teneva a notevole distanza dal mercato di altre scuole europee e americane. L’assenza quasi totale di autori italiani dalle aste internazionali è stata in certi casi ben colmata dai cataloghi nostrani che hanno saputo credere e promuovere gli autori italiani, con risultati in certi casi di tutto rispetto. Se da un lato c’è chi vede di buon occhio un inserimento in un catalogo d’asta, con conseguente visibilità internazionale e definitiva storicizzazione delle proprie opere, altri temono che le stime basse, comuni a tutti i settori delle vendite all’incanto, siano un terribile marchio di infamia. Le opere inserite nelle aste, è risaputo, devono avere un prezzo “croccante”, perché proprio da quel prezzo invogliante parte il meccanismo del rialzo con risultati spesso sorprendenti.
“Alcuni temono che le stime basse, comuni a tutti i settori delle vendite all’incanto, siano un terribile marchio di infamia”.
Abbiamo chiesto a Marica Rossetti esperta di fotografia per il gruppo Minerva Auctions-Finarte qual è la sua opinione: “Non posso generalizzare, con molti autori ed esperti del settore come archivi, fondazioni e gallerie, abbiamo un’ottima collaborazione. Penso piuttosto che spesso siano gli stessi galleristi ad aver timore delle aste tanto da sconsigliarne la partecipazione ai loro fotografi e avviare procedimenti di ‘tutela’ con lettere ufficiali ai fini di stabilire l’uso dei prezzi da listino delle gallerie stesse per ovviare alle quotazioni del mercato”. Giovanni Carabalone di Maison Bibelot aggiunge: “Penso che questa ‘paura’ dei fotografi italiani sia assolutamente immotivata, in effetti, dovrebbero essere contenti di essere inseriti in un catalogo a fianco dei grandi nomi della fotografia internazionale, non spaventati! Le stime per forza dovranno crescere, ma non certo imponendo dei valori gratificanti all’occhio e all’ego e in soldoni fittizi. Bisogna che i fotografi italiani escano allo scoperto, anche con valori bassi. Fino a quando si resta appesi su un bel muro di una galleria, a mio parere, si va poco lontano, bisogna entrare nelle case dei collezionisti e trovarsi a fianco di altri autori storicizzati, questo deve essere l’obiettivo, anche se può costare qualche apparente sacrificio. Inoltre questa è l’unica strada per farsi conoscere e apprezzare anche dai collezionisti di quei Paesi in cui la fotografia, già da tempo, non solo è forma d’arte consolidata ma è un vero e proprio settore di investimento”.
‒ Silvia Berselli
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati