John Ruskin, l’artista. In mostra a Venezia
Ultimi 10 giorni per lasciarsi affascinare dall’immaginario di John Ruskin, protagonista della rassegna a lui dedicata dalla sua città d’adozione. Un viaggio tra linee, colori, ricerche, studio e passioni, sullo sfondo di un legame indistruttibile con la Laguna.
Per la prima volta in Italia una mostra ripercorre la carriera artistica di John Ruskin (Londra, 1819 ‒ Coniston, 1900), illuminandone il talento creativo e scegliendo come sfondo un caposaldo della sua esistenza, pubblica e privata. John Ruskin. Le pietre di Venezia, progetto espositivo voluto da Gabriella Belli e curato da Anna Ottani Cavina, sposta lo sguardo oltre i confini cartacei di The Stones of Venice, capolavoro letterario di una personalità difficile da imbrigliare in definizioni univoche, riavvolgendo il nastro di una vicenda complessa, che trova nella città lagunare il proprio baricentro.
Lungo le pareti delle Stanze del Doge, nel cuore di Palazzo Ducale, si susseguono, come i frammenti di una pellicola filmica, gli acquarelli, i disegni e gli schizzi di un Ruskin capace di coniugare uno spiccato senso critico con una innata propensione a tratteggiare le sembianze della realtà, architettonica o naturale che sia. Grazie agli impeccabili allestimenti di Pier Luigi Pizzi ‒ anche artefice della nuova veste assegnata al Museo dell’Opera, al piano terra di Palazzo Ducale ‒, lo sguardo è attratto dagli spot luminosi che avvolgono le opere di Ruskin, aprendo squarci su diverse categorie del reale.
LA RIVINCITA DEL GOTICO
Assiduo frequentatore di Venezia, dove dimorò a più riprese fra il 1835 e il 1888, lo scrittore, critico e pittore britannico si attirò le ire dei suoi contemporanei restituendo al gotico veneziano una dignità più che meritata, riscattandolo così dalla sudditanza centenaria all’estetica rinascimentale. Assimilata la lezione di Turner, del quale la mostra riunisce un prezioso gruppo di lavori, Ruskin compie un passo ulteriore e guarda a Venezia come a un soggetto vivo, da sottrarre alla logica del decadimento e dunque da immortalare ingaggiando una sorta di lotta contro il tempo e contro gli odiati interventi di restauro ricostruttivo.
La Venezia gotica di Ruskin fa capolino dalle bifore e dalle superfici dei palazzi affacciati sul Canal Grande, lascia tracce di sé nelle arcate dei ponti o nella fisionomia di edifici erosi dalle epoche. Al pari dell’approccio dimostrato nei confronti degli elementi naturali ‒ magistrale l’acquarello di una chiocciola in scala di rosa che sembra trarre vita dal supporto cartaceo ‒, Ruskin penetra l’architettura e ne restituisce l’essenza, modulando colori, linee e inchiostro. Amante del dettaglio, l’artista individuò nel dagherrotipo un ulteriore terreno di sperimentazione, dando letteralmente “alle stampe” scorci di una Venezia che voleva conservare a tutti i costi. Solo al termine dell’itinerario espositivo, la mostra riporta lo sguardo su The Stones of Venice, summa, causa ed effetto di un lavoro decennale e di una visione lucida, che trova il suo corrispettivo in un’affermazione risoluta: “You know, I promised them no romance. I promised them stones”.
‒ Arianna Testino
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