Piccoli festival crescono. Parma 360
Intervista a Chiara Canali e Camilla Mineo, direttrici artistiche del festival Parma 360, che sta per concludersi.
Creatività è la parola chiave di un festival che ormai da tre anni viene organizzato a Parma e che ha come direttrici artistiche Chiara Canali e Camilla Mineo. E se l’arte contemporanea è la protagonista principale delle mostre, l’intento di Parma 360 è farvi partecipare un pubblico più vasto rispetto a quello che abitualmente frequenta la scena artistica contemporanea: per coinvolgere i cittadini, Chiara e Camilla hanno quindi pensato a un format ricco di eventi, all’utilizzo di luoghi storici difficilmente accessibili – dalle chiese sconsacrate alle fabbriche dismesse, fino alla straordinaria crociera dell’Ospedale Vecchio, con il suo impianto quattrocentesco e con le scaffalature che testimoniano un lungo utilizzo come sede dell’Archivio di Stato – e al coinvolgimento di soggetti privati. In vista della scoppiettante chiusura del festival – le mostre ve le abbiamo già raccontate – abbiamo chiesto un bilancio alle curatrici su questa e sulle edizioni passate.
La terza edizione di Parma 360 sta per terminare: siete soddisfatte di come sono andate le mostre e gli eventi?
Chiara Canali: Siamo davvero soddisfatte, con gli oltre 10mila visitatori solo nel primo weekend e molta partecipazione da parte del pubblico di Parma e di quello proveniente da altre città italiane non solo alle mostre ma anche agli eventi collaterali: non si tratta però solo di dati quantitativi, ma anche di riscontri qualitativi emersi dai questionari somministrati ai visitatori. È una conferma del fatto che oggi delle curatrici e operatrici culturali, quali siamo noi, non possono non tenere conto delle nuove sfide che si aprono negli ambiti della valorizzazione culturale del territorio, come per esempio essere in grado di fare rete, allargare e diversificare i pubblici ed essere punto di riferimento per le realtà creative della città. Siamo convinte che l’arte non possa essere fruita solo nelle gallerie e nei musei, ma debba uscire dalla sua torre d’avorio, tornando a svolgere un ruolo centrale, di trasformazione sociale ed etica.
Un festival di questo tipo ha tra gli scopi la valorizzazione e la riscoperta per la cittadinanza di luoghi altrimenti chiusi, inaccessibili o poco frequentati. Come hanno risposto i parmigiani alla vostra proposta delle sedi?
Camilla Mineo: Uno dei nostri obiettivi è proprio di dare un contributo alla riapertura di spazi normalmente chiusi facendoli diventare sede di mostre di arte contemporanea: quest’anno abbiamo riaperto – una missione quasi impossibile ‒ l’Ospedale Vecchio, uno spazio enorme e molto affascinante, la chiesa di San Tiburzio e l’Ex Scedep, un’ex fabbrica in periferia, oltre alla chiesa di San Quirino. I parmigiani sono ovviamente entusiasti di queste riaperture straordinarie di spazi che spesso non conoscono e il pubblico in generale che viene per il festival ha la fortuna di accedere a luoghi incredibili quasi mai aperti. Purtroppo in corsa, a causa di restauri urgenti, è venuta mancare una delle sedi, l’Antica Farmacia di San Filippo Neri (riaperta dopo cinquant’anni l’anno scorso per la seconda edizione di Parma 360) dove avremmo dovuto realizzare tre mostre di giovani artisti ed eventi musicali: un vero peccato.
La vostra scelta, fin dalla prima edizione, è stata superare i confini di Parma e invitare artisti di rilevanza nazionale. Ma la città è estremamente legata alla sua tradizione e alla sua identità: il rischio ha dato buoni frutti?
C. C.: Naturalmente il cambiamento di mentalità è un processo lento, che si vedrà a compimento sul lungo termine. Parma è una città che fino a oggi ha vissuto sui fasti di grandi artisti del passato (Correggio e Parmigianino in primis) e non ha mai attuato una vera e propria politica di apertura al contemporaneo nel campo delle arti visive. Ci sono stati progetti di successo e mostre ambiziose di arte contemporanea (come Novecento dello CSAC, la personale di Claudio Parmiggiani, Mater o attualmente Il Terzo Giorno) e negli ultimi anni sono fiorite numerose gallerie private dedite a scoprire la scena contemporanea (Cubo Gallery, Fogg Art Gallery, Rizomi ecc.), tuttavia il pubblico va abituato ed educato al contemporaneo con gradualità e continuità, in modo che diventi sempre più partecipe e attivo. Per questo motivo il festival si è prefissato fino a ora di mantenere la gratuità delle mostre e degli eventi e di diventare un appuntamento fisso in città, che si ripeta a scadenza annuale, come Fotografia Europea per Reggio Emilia o il Festival della Filosofia per Modena.
Tuttavia non sono assenti gli artisti parmigiani, anzi trovano numerosi spazi all’interno di Parma 360, giusto?
C. M.: Sì, ogni anno la “quota parmigiana” è ampiamente rappresentata e dedichiamo sempre una o più sedi ad artisti locali: quest’anno in particolare sono stati coinvolti circa trenta giovani artisti parmigiani all’Ex Scedep ed è stata allestita una mostra su Carlo Mattioli, parmigiano d’adozione. L’anno scorso abbiamo esposto i lavori di Giacomo Cossio e prima di C999 e dei fotografi Erresullaluna +Chuli Paquin, protagonisti del circuito principale. Inoltre nel circuito off disseminato per la città ‒ in oltre 45 spazi ‒ gli artisti di Parma sono ampiamente rappresentati.
Tre anni di lavoro, non esenti da scossoni e da polemiche, ma questa edizione sembra proprio essere quella che consolida le basi per riproporre Parma 360 in futuro. Cosa ne pensate?
C. C.: La prima edizione del festival ha trovato molti consensi ma ha ricevuto anche delle critiche a causa de Il Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto, ospitato in piazzale della Pace. Ovviamente un intervento di quel tipo, che ripensava uno spazio pubblico attraverso la partecipazione collettiva e la riflessione etica e sociale, e basato non unicamente su parametri estetici, ha attirato parecchie polemiche, chiacchiere inorridite, atti vandalici e clamore mediatico. Ma il bilancio è positivo perché, se dopo due anni continuiamo a parlarne, nel bene e nel male, vuol dire che il Terzo Paradiso ha svolto la sua funzione, che è poi quella dell’arte e della cultura, cioè di far riflettere e di attivare dibattiti. Quest’ultima edizione ha sicuramente consolidato le basi, in quanto ci ha permesso ancora una volta di confrontarci con alcune sfide, come portare l’arte contemporanea al di fuori dei musei e degli spazi istituzionali. E questo ci dà le energie e le conferme per proseguire ancora in futuro!
Come si chiuderà il festival?
C. M. e C. C.: Parma 360 si chiuderà con una grande festa il 1° giugno nell’ex fabbrica Scedep, meglio noto come Spazio Pasubio. Qui si svolgerà la premiazione de concorsi da noi promossi in collaborazione con associazioni e aziende del territorio e sono in programma ancora due performance: quella del parmigiano Giacomo Cossio e un live painting dello street artist Gatto Nero. Sarà un momento di festa per coinvolgere tutti coloro che ci hanno aiutato e supportato e hanno reso possibile Parma 360, dal Comune al grande contributo di sponsor privati. Ma il festival non si conclude qua: per tutto l’anno sono in programma ulteriori iniziative che manterranno viva in città l’energia culturale di questi mesi per arrivare a pieno ritmo alla prossima edizione!
‒ Marta Santacatterina
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