Il senso italiano dell’attesa
Il concetto di attesa trova nella società e nell’arte italiane una gamma di sfumature inconfondibili. Le stesse che riecheggiano nelle “Attese” di Lucio Fontana o nelle opere, recenti, di Raffaele Fiorella.
Un paio di mesi fa, durante una visita al Museo Archeologico di Napoli, in una delle opulente sale ospitanti la collezione delle pitture pompeiane, mi sono imbattuta nell’affresco inventariato 114320. La didascalia racconta che si tratta di “Paride seduto attende il premio promessogli da Afrodite e Amorino sulla porta della stanza gli indica Elena, spingendolo così a compiere il passo che porterà alla guerra di Troia”. Al di là dei significati mitologici e letterari di cui l’opera si fa portatrice, mi ha colpito in maniera profonda l’impianto dell’immagine. La pittura, risalente al 20-25 d.C., è parte della decorazione della casa di Giasone. L’amorino, occhieggiante da un uscio semiaperto, indica Paride, con la sua tunica viola, a una Elena mollemente appoggiata a una parete con il braccio scoperto. Paride è invece seduto su una sedia con spalliera e guarda verso lo spettatore. Questa scena, dai muri sbreccati, la porta in legno, la tavolozza con colori terrosi, coglie il senso dell’immobilità che rapisce i personaggi e li congela nel tempo: la posa dell’uomo è eterna, in attesa. È questo aspettare, che nell’affresco è perpetuo e continua fino ad oggi, arrivando a noi, la cifra del racconto italiano. Quando penso a questo affresco, penso a uomini e donne dai volti segnati che, appoggiati su seggiole-trabiccoli sulla soglia delle proprie case, cercano un riparo dalla calura. Aspettano. Fanno trascorrere minuti, ore, giornate. Anche i loro piccoli paesi hanno una tavolozza color terra, anche le loro ore, i loro sguardi durano per sempre.
DA ZAVATTINI A FONTANA
Sono qui e adesso e un domani, fra cento anni, altri uomini e altre donne faranno lo stesso. Saranno. Rimarranno in attesa. Indugia con lo sguardo la famiglia di Luzzara, ritratta da Paul Strand nel mitologico libro fotografico Un Paese, realizzato con Cesare Zavattini e pubblicato nel 1955. O gli anziani ritratti dallo stesso artista: potrebbero essere qui ora o proiettati in un passato lontano. Ma cos’è questo senso di sospensione italiano che anche gli artisti stranieri hanno saputo cogliere e raccontare così bene (pensiamo al portfolio di Henri Cartier-Bresson realizzato in Italia, ma anche alle opere dei fotografi americani che hanno ripreso Matera come Carrie Mae Weems che la mostra Matera Immaginata, a cura di Lindsay Harris e tenutasi sia all’American Academy in Rome che a Palazzo Lanfranchi, ha ospitato)? È la vena più profonda dell’animo italiano, il momento che precede l’azione, ma è successivo a qualcosa – come per Paride nelle pitture pompeiane ‒ la consapevolezza di aver meritato qualcosa, un premio che però non si avvera mai. Negli occhi dell’eroe antico, dei poveri di Luzzara, negli anziani che hanno trascorso tutta la vita ad aspettare, c’è il desiderio. C’è la fame, l’insoddisfazione. Anche un po’ di bramosia. Per qualcosa di inafferrabile, che non arriva, che non si traduce, non si porta a compimento. O forse sì, ma noi non lo sapremo mai. È il “sogno di una cosa” inseguito dai giovani protagonisti del primo romanzo di Pier Paolo Pasolini, ambientato nel 1948-49 e pubblicato nel 1962. L’autore per tutto il testo lascia intendere che si tratti della rivoluzione o del comunismo, ma quella “cosa” potrebbe essere anche un piccolo spiraglio di luce, il bello da cogliere, la “parte di ricchezza” per i poveri annunciata nella poesia di Montale. Ma il senso dell’attesa non è solo materico e ricco di figurazione, è anche concettuale e prende la forma del vuoto, della cancellazione dello spazio e con lo sfondamento del tempo, nei concetti spaziali di Lucio Fontana, le Attese.
ATTESE CONTEMPORANEE
E non è solo antico, torna in anni più recenti negli scatti di Viaggio in Italia, dove tuttavia i fotografi portano al parossismo il concetto, cancellando totalmente la presenza umana (e allora sono gli oggetti che si perdono nell’orizzonte). E ai giorni nostri, nelle terre di Raffaele Fiorella, nato nel 1979, e nella sua opera più recente Prove per una lunga attesa (anche esposta alla BACC di Frascati): come tutti i personaggi incontrati fino ad ora, le sue figurette metafisiche stanno ferme, assorte nel sole, sedute: non c’è alcuno scatto e nella malinconia dei loro sguardi nessuna pretesa. Rassegnate, ma indomite nel tempo, piene di desiderio, si concentrano nell’aspettare.
‒ Santa Nastro
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #42
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