Domande sul vivente. Intervista alla curatrice Gabriela Galati
Parola alla curatrice della mostra allestita presso aA29 Project Room a Milano. Una riflessione creativa sulle tante forme del “vivente”.
Nessun essere vivente può vivere da solo: in una contemporaneità di vertiginose trasformazioni diventa ancora più urgente ampliare il proprio sguardo oltre il panorama ristretto dell’umano. Abbiamo incontrato Gabriela Galati, che ha fatto degli interrogativi del post umano non solo il centro della propria ricerca, ma anche il filo conduttore della mostra collettiva Domande sul vivente da lei curata negli spazi di aA29 Project Room a Milano.
Hai dedicato al postumano un dottorato e da poco è uscito il tuo libro Duchamp meets Turing. Perché hai sentito l’esigenza di tradurre questo stesso tema in termini curatoriali? E perché scegliere di dedicare una mostra alle domande sul vivente e non alle risposte?
Avevo inizialmente pensato a un titolo come “visioni sul vivente”, ma mi sembra sempre più utile porre domande, anche quando rimangono senza risposta. Nel mio dottorato e nel libro che è appena stato pubblicato mi occupo principalmente del rapporto uomo-tecnologia. Quando ho finito, anche grazie al lavoro e alle discussioni con Ivana Adaime Makac (presente in mostra), ho iniziato a esplorare il rapporto dell’uomo con il vivente in generale, a considerare un ecosistema in cui ogni vivente sia contemplato. Poiché le mie prime riflessioni su questo tema sono nate grazie ad artisti, mi sembrava molto importante un approccio a questi argomenti attraverso una mostra.
La mostra presenta sei artisti e un collettivo creativo che provengono da percorsi estremamente diversi e che scelgono mezzi altrettanto diversi per esprimersi. Come li hai scelti?
Ho iniziato dagli artisti della galleria che già lavoravano su questi temi: Matilde Sambo, Tiziana Pers. Altri che mi avevano concretamente aiutato ad avvicinarmi a questi temi come Ivana Adaime Makac, o che mi interessavano da tempo come Brandon Ballengée (le cui opere ci sono state gentilmente prestate da Nowhere Gallery). Ho poi deciso di approfondire il rapporto con artisti con cui non avevo mai lavorato molto ma a cui volevo avvicinarmi, come Muriel Rodolosse e Camilla Alberti. Mi interessava che gli approcci fossero molto diversi e che il vivente non fosse soltanto un materiale esposto: non devono per forza esserci solo installazioni con piante o animali, si può parlare di viventi anche con la pittura.
Il 23 giugno, il collettivo creativo SEEDS porterà negli spazi di aA29 Project Room la performance Plant Swap, invitando il pubblico a scambiarsi piante, semi, consigli e storie. Che significato assume un evento come questo all’interno di Domande sul vivente?
Mentre organizzavo questa mostra, sono entrata in contatto con Giada Seghers, che insieme ad altre tre ragazze forma il collettivo SEEDS. Esplorano il rapporto delle persone con le piante organizzando workshop indirizzati anche ai bambini. Un evento come il loro può davvero coinvolgere le persone, può portare in galleria anche un pubblico che normalmente non la frequenterebbe. Mi interessava poi che Plant Swap non consistesse solo nello scambiarsi piante, ma anche nel raccontarne le storie e in qualche modo renderle rintracciabili.
La mostra porta punti di vista diversi sull’immenso interrogativo del vivente. Si crea un dialogo organico? Pensi che se ne possano trarre delle conclusioni, degli approdi condivisi?
Sicuramente il vivente in ogni sua accezione è un argomento di ricerca sentito e diffuso nella contemporaneità. In alcuni casi, come quello di Tiziana Pers, alla pratica artistica si unisce quella dell’attivismo, in altri casi, come Brandon Ballengée, l’occhio è quello di un biologo, ma il punto fermo comune rimane sempre un profondo rispetto verso ogni forma di vivente.
‒ Valentina Avanzini
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