La scelta del consigliere di amministrazione non risponde alla ricerca di competenze specifiche, manageriali-amministrative, ma si viene nominati in quanto “grande elettore”, uomo di partito o amico fidato. Nel migliore dei casi costui è anche persona di “cultura”, nell’accezione moderna: docente, giornalista, appassionato di letteratura o spettacolo, attore…
Questa procedura selettiva, che non mi risulta sia praticata in altri Paesi moderni e democratici, almeno non in forma così “scientifica”, oltre a essere una forma di disprezzo per le istituzioni, genera gravi inefficienze. I consiglieri, che siedono in tanti CDA di aziende pubbliche o partecipate, non solo se ne occupano poco, ma anche male. In primis perché sono pesci fuor d’acqua. Il CDA è per definizione l’organo collegiale al quale è affidata la gestione dell’azienda.
Questa funzione non avviene per via diretta bensì attraverso l’assunzione del management, soprattutto apicale, col controllo sul loro operato, con la scelta delle strategie, infine con l’approvazione (o meno) dei conti. Non entro in un censimento per capire quanti dei consiglieri in carica sappiano o ancor meno capiscano (o addirittura conoscano) le funzioni prima citate. Mi soffermo invece sul fatto di come questi nominati si dedichino solo a ciò che più gli piace: giudicare i contenuti, entrare nel merito delle scelte artistiche dell’ente che dovrebbero “solo” amministrare.
Chi non ha letto un romanzo, visto una mostra d’arte, sentito un concerto? Tutti quindi possono valutare, proporre, sentenziare, bocciare il frutto del lavoro del professionista di turno. Il mio amico neoconsigliere, da “giovane ingenuo”, si è subito premurato di rimarcare che lui non entrerà nel merito dei progetti né nella quotidianità della conduzione aziendale. Pare che tale affermazione, oltre al gran stupore, abbia anche generato un applauso. Parimenti ha suscitato meraviglia la sua richiesta di una stanza per poter svolgere il suo lavoro: “Nessuno l’ha mai chiesta, non viene mai nessuno”, gli è stato risposto.
Il parossismo si completa nella decisione, di molte amministrazioni socie delle aziende pubbliche, di azzerare gli emolumenti economici. Il giovane consigliere invece è convinto di voler lavorare per una governance trasparente, che apra il funzionamento e le scelte dell’istituzione alla comunità, che informi sulla politica dei costi. In bocca al lupo!
Fabio Severino
vicepresidente dell’associazione economia della cultura
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #5
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