Gulf Area #3. Sharjah e Doha, le regine del deserto

Oscurate da Abu Dhabi e Dubai, ossia le due sfavillanti e cosmopolite metropoli del Medio Oriente, Sharjah e Doha possono apparire a un occhio meno esperto come le sorelle minori del Golfo Persico. Più piccole, forse, rispetto ai soli termini territoriali, ma non certo per il peso che giocano nello sviluppo culturale dell’intera regione, dove il mix localizzazione-internazionalizzazione è cibo per palati regali.

Spesso considerata la sorella sobria e compita di Abu Dhabi e Dubai, Sharjah è la capitale dell’emirato omonimo, terzo per importanza tra i sette che costituiscono gli Emirati Arabi Uniti. Con i suoi 16 chilometri di spiaggia, l’emirato di Sharjah è anche l’unico unico ad affacciarsi territorialmente sia sul Golfo Persico che sul Golfo d’Oman.

UNA PERLA DIETRO IL CHADOR

Nonostante Sharjah disti soli trenta minuti a nord-ovest di Dubai, la capitale non abbaglia per lo stesso sfarzo che contraddistingue la sorella cosmopolita. Sharjah incanta però a modo proprio. Ed è la sua atmosfera accogliente, a tratti senza tempo, a farla da padrona e sedurre qualsiasi sguardo occidentale. Sharjah, infatti, incarna l’immagine della città misteriosa e velata ma al tempo stesso vivace (se si pensa ai numerosi suq tipici), al punto da ricordare le descrizioni delle città arabe offerte da Le mille e una notte. Inoltre, la sua sensibilità e l’attenzione verso la storia e la cultura locali spiegano, da sole, perché l’Unesco l’abbia dichiarata Capitale Culturale del Mondo Arabo nel 1998, riconoscimento ribadito nuovamente nel 2014 con la proclamazione unanime di Capitale della Cultura Islamica.
Sebbene Sharjah abbia pretese architettoniche simili a Dubai, ad esempio nello slancio verticale dei grattacieli nella sua area finanziaria o nella magnificenza dell’illuminazione pubblica delle moschee, vige una tranquillità per certi versi austera. Tale severità è in parte dettata dalle regolamentazioni governative, poiché lo Sceicco Sultan III bin Muhammad Al Qassimi è, de facto, il monarca assoluto di un regime ultraconservatore. Sharjah rappresenta dunque un’anomalia rispetto agli altri emirati sedotti dall’opulenza autoindulgente del capitalismo. A Sharjah la vendita e il consumo di alcool sono banditi nei luoghi pubblici, aeroporti e hotel, e solo una speciale licenza ne consente l’importazione per uso domestico. Così poca tolleranza da parte delle autorità è anche applicata nella diffusione delle immagini. È infatti solamente dello scorso gennaio 2018 il bando pubblico di iconoclastia, ossia il divieto di rappresentare la figura umana, che è stato imposto negli shopping mall della capitale relativamente ai manichini esposti in vetrina. A breve, quindi, manichini e pannelli pubblicitari rappresentanti la figura umana saranno sostituiti con modelli acefali.
Siccome il costo degli affitti è inferiore rispetto alla vicina Dubai, Sharjah ospita un’alta percentuale di lavoratori pendolari provenienti da ogni angolo del sud-est asiatico che prestano servizio a Dubai. Altrettanto incoraggiante per la popolazione straniera di Sharjah è infine la stretta osservanza religiosa che caratterizza l’emirato, poiché consente di prendere una certa distanza dalle tentazioni offerte da Dubai e Abu Dhabi. Questo stesso conservatorismo, però, ha anche acceso i riflettori su una possibile alleanza strategica dell’emirato con l’Arabia Saudita, la monarchia wahabita protettrice dell’Islam Sunnita, al punto che nel 2017 si vociferava circa un movimento indipendentista di Sharjah rispetto al resto degli EAU.

Al Mureijah Square, 2017. Aerial View. Image courtesy of Sharjah Art Foundation

Al Mureijah Square, 2017. Aerial View. Image courtesy of Sharjah Art Foundation

PIONIERA DELLA CULTURA

Se Abu Dhabi è la capitale dei brand museali occidentali (il neonato Louvre e il futuro Guggenheim) e Dubai è la città dei grandi eventi e manifestazioni (dalla fiera Art Dubai all’Expo 2020), anche Sharjah ha il suo primato. Musei d’arte locale e internazionale, siti culturali e fortezze sul golfo fanno di Sharjah l’Alessandria d’Egitto del XXI secolo.
La lista dei musei e delle moschee di Sharjah è infatti davvero lunga. Spicca fra tutti il Sharjah Museum of Islamic Civilization, che custodisce più di 5mila manufatti artistici tra ceramiche, dipinti, oggetti in vetro e strumenti per la misurazione che testimoniano le conquiste scientifiche arabe in matematica e astronomia, ripercorrendo così 1.400 anni di storia della civiltà islamica. Per conoscere più a fondo i vari aspetti della vita quotidiana dei nobili locali, dall’alimentazione alla religione, il Sharjah Heritage Museum è il luogo ideale, mentre per scoprire i tesori del passato il Museo Archeologico è una vera risorsa di reperti e informazioni. Altri siti di interesse sono il Museo delle Scienze, con laboratori e dimostrazioni pratiche, e l’Al Eslah School Museum, che ripercorre l’evoluzione della scuola e dell’istruzione negli Emirati nel corso degli ultimi settant’anni.
Infine, se anche il Sharjah Art Museum è una delle gallerie più importanti degli EAU – con una collezione permanente di dipinti, acquerelli e litografie risalenti al XVIII e XIX secolo –, è Sharjah Art Foundation la principale istituzione per il contemporaneo. Diretta da Sua Eccellenza Sceicca Hoor Al Qassimi, sin dai suoi esordi la fondazione ha commissionato e prodotto tra le opere più importanti di artisti di tutto il mondo, mostrando in questo modo alla comunità locale opere d’arte uniche e in un certo senso impensabili altrove, specialmente se si considerano dimensioni e costi. Ma Sharjah Art Foundation è soprattutto Sharjah Biennial, la manifestazione ormai giunta alla sua 14esima edizione (apertura il prossimo marzo 2019 sotto il titolo Leaving the EchoChamber). Evento artistico divenuto imprescindibile tra i professionisti del settore del MENASA (Medio Oriente, Nord Africa e Sud Asiatico), la biennale si è da sempre caratterizzata per la libertà di sperimentazione rispetto ai differenti formati e modelli espositivi che, di volta in volta, i curatori, ma anche attivisti e cultural producer, hanno scelto di sviluppare in quest’arena singolare.
A Sharjah, infine, non mancano fondazioni e collezioni private che, a seconda delle rispettive mission, giocano un ruolo determinante nella conservazione e promozione dell’arte moderna e contemporanea nella regione. Barjeel Art Foundation e Maraya Art Centre sono tra le due organizzazioni filantropiche più attive sul territorio, e le loro collezioni sono già state oggetto di esposizioni itineranti in Europa alla Whitechapel Gallery di Londra (2016) e all’Institut du Monde Arabe di Parigi (2017).

DOHA: NON È TUTTO ORO QUEL CHE LUCCICA

Doha è sinonimo del Paese del quale è capitale: il Qatar. La città rappresenta la quintessenza della modernità dell’emirato, il piccolo pennacchio situato nel cuore delle acque del Golfo Persico e confinante, solo grazie a una ridotta porzione di terra sul lato meridionale, con l’Arabia Saudita. Lo scintillante tessuto urbano di Doha, che vanta uno skyline mozzafiato caratterizzato da architetture prestigiose a firma delle più celebri archistar, ha senz’altro conferito alla città una struttura, ma non un’anima. Con un reddito pro-capite tra i più elevati al mondo (150mila dollari), il Qatar è nella lista dei Paesi più ricchi del pianeta, ma è anche tra quelli considerati meno felici secondo il World Happiness Index 2018 – come a ribadire che “i soldi non portano la felicità”. Inoltre, dei suoi due milioni di abitanti, solo il 20% della popolazione è di origine qatariana. Dietro a opulenti palazzi costruiti su un arcipelago artificiale strappato al mare si cela infatti l’altra faccia del potere: l’Islam. In Qatar, come in Arabia Saudita, l’Islam non è solo una professione di fede, bensì è la religione in cui si identificano la società e lo Stato e che influisce su ogni aspetto della vita quotidiana.
In questa direzione, nonostante siano in corso i preparativi per la Qatar FIFA World Cup 2022 – con non poche polemiche e investigazioni circa l’assegnazione annunciata nel 2010 – il Paese è sotto i riflettori internazionali dell’Onu per quanto riguarda, prima fra tutte, l’adesione al protocollo sui diritti umani. Tuttavia, oltre all’annosa diatriba sulla schiavitù autorizzata e perpetuata da Qatar, EAU e Arabia Saudita verso lavoratori provenienti in maggioranza dal sud-est asiatico, il Paese dovrà far fronte ad altre eccezioni alla regola musulmana: gender equality e, almeno durante il campionato sportivo, acconsentire il consumo di alcool nei luoghi pubblici.

Al-Mayassa Al Thani

Al-Mayassa Al Thani

PICCOLE DONNE CRESCONO

In ambito culturale, la grande trasformazione di Doha è tutta frutto di una regina, una vera: Sua Eccellenza Sceicca Al-Mayassa bint Hamad bin Khalifa al-Thani, sorella dell’emiro del Qatar, nonché uno tra gli uomini più ricchi al mondo.
Classe 1983, Sceicca Al-Mayassa è tra le cento persone più influenti del mondo dell’arte – secondo la classifica pubblicata da ArtReview. Si dice che sia lei a essersi aggiudicata nel 2015 il quadro più caro di tutta la storia della pittura moderna per la cifra di 300 milioni di dollari: Quando ti sposi? di Paul Gaugin (1892). Ma non solo Gaugin. I giocatori di carte di Cézanne (1890), ottenuto nel 2102 per 250 milioni di dollari, ha seguito solo una lunga serie di grandi acquisti come Mark Rothko e Damien Hirst, e anche un paio di sculture di Jeff Koon e le immancabili pitture di Andy Warhol e Francis Bacon.
Nei primi Anni Zero, in qualità di chairperson della Qatar Museums Authority, ente governativo che gestisce i musei dell’emirato e il Doha Film Institute, Al-Mayassa ha ricevuto un mandato chiaro: posizionare l’allora inesplorato Qatar al centro della mappa artistica internazionale. Sebbene sembrasse una missione impossibile da raggiungere, poiché fino all’inizio del nuovo millennio la popolazione del Qatar era costituita essenzialmente da nomadi, l’obiettivo non si è rivelato così fuori misura. Sempre secondo la stima di ArtReview, Sceicca Al-Mayassa ha a disposizione un budget annuale d’acquisizione pari a 850 milioni di euro.

I GIOIELLI DEL QATAR

Primo fra tutti i fiori all’occhiello di Al-Mayassa è il MIA – Museum of Islamic Art, inaugurato nel 2008. Questa fortezza postmoderna sorge su un’isola artificiale appositamente costruita e incorniciata da alberi e aiuole ornamentali. A firma di Ieoh Ming Pei (lo stesso architetto della piramide del Louvre di Parigi), il museo ospita la più grande collezione di arte islamica esistente al mondo, riunendo manufatti, ceramiche, oggetti in vetro e innumerevoli tesori provenienti da tre continenti.
Seconda conquista blasonata della Qatar Museums Authority è il Mathaf (in arabo ‘museo’), ovvero il museo di arte moderna e contemporanea del Qatar, che ospita la più grande collezione di modernismo arabo di tutta la regione. Dopo una prima ondata occidentalista, che ha visto al suo apice, tra le altre, la multimilionaria personale di Damien Hirst curata da Francesco Bonami nel 2013, il Mathaf ha seguito l’ondata nazionalistica che imperversa nell’intero Paese. La parola d’ordine di Doha è quindi local, ma a discapito del global. Infatti, i primi risultati di questa nuova policy culturale e sociale sono davvero poco convincenti. Si dovrà, forse, soltanto aspettare l’apertura del National Museum of Qatar, disegnato da Jean Nouvel e previsto per il 2020, per toccare con mano che tipo di eredità culturale il museo presenterà per raccontare di un Paese la cui economia era – almeno fino agli Anni Settanta – legata all’esclusivo commercio di perle.

Doha, Urs Fischer, Lamp Bear, Hamad Airport

Doha, Urs Fischer, Lamp Bear, Hamad Airport

MERCATO E POLITICA

Anche il mercato dell’arte contemporanea non ha mai prosperato, nonostante il timido tentativo di Katara Village, un art district pensato per accogliere gallerie internazionali ed edificato letteralmente dal nulla, ma che ha visto le poche gallerie esistenti cercare fortuna altrove. In fondo, come per Sceicca Al-Mayassa, anche gli altri collezionisti qatariani non sono probabilmente immuni al fascino degli acquisti nelle grandi aste e fiere mondiali.
Due esperimenti di organizzazioni homegrown sono invece Public Art e Garage Fire Station, entrambi sempre sotto l’egida della Qatar Museums Authority. Mentre il primo è un progetto di arte pubblica volto a inserire installazioni di grande scala nel contesto pubblico (finora, tra le operazioni degne di nota, una serie di sculture di Richard Serra nel deserto e nella baia di Doha, e due installazioni presso l’aeroporto, rispettivamente di Louise Bourgeois e Urs Fischer), il secondo è invece una piattaforma di residenze per artisti operanti in Qatar, equipaggiata inoltre di un gallery space.
Infine, a incidere ulteriormente sull’impoverimento dell’offerta museale non sono solo le spinte governative verso uno sciovinismo sociale e culturale. Il 5 giugno 2017, infatti, il Qatar è entrato nel mirino dell’Arabia Saudita e degli altri Paesi del Golfo, accusato di sostenere il terrorismo islamico. I paesi del GCC – Gulf Cooperation Council hanno quindi interrotto ogni rapporto con il Qatar, isolandolo dai collegamenti aerei e marittimi, e tagliando le linee di comunicazione di Al Jazeera, il potente canale televisivo del Medio Oriente paragonato all’emittente inglese BBC. La rottura diplomatica tra Doha, l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi e il Bahrein (ai quali si sono aggiunti Egitto e Yemen) è destinata a rimescolare le carte delle alleanze in tutto il Medio Oriente, oltre a incrinare il sistema di sicurezza tra le maggiori potenze mondiali.

Claudio Cravero

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #43

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Claudio Cravero

Claudio Cravero

Claudio Cravero (Torino, 1977). Curatore di base a Dubai, dal 2014 al 2018 è direttore artistico della sezione contemporanea del Museo King Abdulaziz Center in Arabia Saudita. La sua ricerca indaga l’arte contemporanea quale forma di resistenza contro la censura…

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