Scultura oggi. Parola a Giuseppe Gabellone
In mostra da Quartz Studio a Torino e alla Galleria Zero… di Milano, Giuseppe Gabellone approfondisce la sua idea di scultura nella conversazione con la curatrice Lisa Parola.
Nell’ambito delle arti visive negli ultimi decenni la scultura è stata relegata a un ruolo quasi ancillare, per molto tempo scavalcata da rivisitazioni di specifiche forme delle avanguardie storiche e pratiche delle neoavanguardie. In questa ridefinizione di campi e prospettive, solo recentemente, a livello internazionale da parte di alcuni artisti, si è sentita forte l’urgenza di riprendere l’idea della scultura nel tentativo di riposizionarla nella dimensione complessa e fluida della contemporaneità.
Per Giuseppe Gabellone (Brindisi, 1973) la ricerca visiva è sempre stata un problema di scultura: “Questa attitudine verso la scultura è venuta da se, ma averla riconosciuta e accettata mi ha aiutato a chiarire i confini nei quali il mio lavoro si è sviluppato nel tempo. Ridurre l’oceano a un mare a volte può essere utile. Poi ognuno è libero di interpretare come meglio crede. Il fatto che si possa ricondurre il mio lavoro al campo della scultura non è un vincolo nella lettura dell’opera; personalmente parlare del mio lavoro in termini di scultura è qualcosa che aiuta a definirmi e mi rassicura. Descrivere il mio lavoro solo “arte” non è abbastanza specifico, almeno per me”.
INTRECCI DI MATERIA
Nella scultura di Gabellone si affiancano pratiche e punti di vista che intrecciano materie, forme, media che si dilatano nello spazio espositivo creando un lavoro unico che unisce l’opera e il luogo: “M’interessa soprattutto il lavoro di quegli artisti che continuano ad ampliare, distruggere e piegare l’idea di scultura”.
Molti dei lavori dell’artista, fin dalla scala di Periodo del 1997 e in modo non troppo distante anche l’intreccio di Nodo o Fumo del 2011, paiono in tensione non solo con lo spazio che li ospita ma anche con l’idea stessa di scultura quando intesa come territorio troppo definito, a tratti asfittico e impermeabile. Gabellone sceglie invece di tenere aperta la forma e misurarsi piuttosto con gli attriti che la disegnano mettendo in dialogo l’ingombro della scultura con altri elementi ‒ luce o colore – leggeri e quasi immateriali.
Il colore e la scultura: un rapporto complesso, eppure nei lavori recenti dell’artista questi due elementi trattengono, quasi in modo contratto, questa relazione. Forme minimali, lineari paiono prendere corpo da cromie inedite; verde acido, marrone, un viola non troppo consueto, gialli pallidi. Ma quando il colore si fa materia? “Il colore è un aspetto che nel mio lavoro si è sviluppato soprattutto negli ultimi anni. Anche se di tanto in tanto, era già presente anche nei primi lavori. Prima però usavo principalmente i colori dei materiali, naturali o industriali (così come vengono messi in commercio). Nella mia idea di scultura, ho sempre pensato il colore come l’elemento che contribuisce al carattere della scultura, rendendola vivace o drammatica, fragile o vigorosa, evidente o ambigua, magari anche altro, chissà. In questo senso ho spesso preferito usare un solo colore producendo monocromi, per amplificare di volta in volta un solo e unico carattere. Difficilmente coloro una scultura in superficie, cerco piuttosto di trovare materiali già colorati oppure utilizzo pigmenti puri per colorare il materiale direttamente all’interno”.
CAMBIARE LO SPAZIO
Molte delle ricerche artistiche contemporanee stanno nuovamente indagando la scultura anche da un punto di vista storico, con reinterpretazioni della materia e della forma. In una prospettiva storica, quali artisti o correnti attraversano i lavori dei contemporanei, quali echi e storie ritornano nei lavori? “Collocare il mio lavoro in una prospettiva storica? Proprio non saprei… posso solo dire che nel tempo ho attinto liberamente dal lavoro degli artisti che di volta in volta mi hanno affascinato. Sicuramente quelli dell’Arte Povera e del Concettuale, soprattutto gli inizi. Ma dipende molto anche dal periodo. In questo momento, per esempio, mi interessa molto anche il lavoro di Antony Caro, per come utilizza il colore ma anche per quel suo modo di ragionare sulla scultura in relazione allo spazio e alle proporzioni di chi vi gira intorno”.
È come se l’artista italiano si costringesse talvolta a trasformare la scultura (materia) in immateriale (luce, colore, movimento), dove è quasi sempre l’elemento immateriale a occupare l’ambiente, aggredendolo. Come le sculture pungenti del 2006, nelle quali è il riflesso che frammenta, taglia lo spazio e in un qualche modo anche i bassorilievi giapponesi di poliuretano che frammentano lo spazio, sporgendosi in avanti. “Sono due tipologie di lavori che per propria natura sono opposti. Le sculture di specchi sono volutamente respingenti, al contrario i giapponesi ti portano dentro. Quell’angolo interno che si crea tra le due scene (superiore e inferiore) porta chi li guarda ad avvicinarsi, a entrare dentro e perdersi nei dettagli”. Forse sono proprio quei frammenti, quelle pieghe che uniscono una parte importante della sua ricerca. È in quelli che paiono quasi scarti che troviamo la scultura di Gabellone. Il lavoro esposto ora da Quartz a Torino e la mostra da Zero… a Milano dove portano? Quanto e in che modo nel lavoro dialogano l’aspetto formale e poetico? “Mi piacciono quelle opere che con la loro presenza riescono in qualche modo a cambiare lo spazio attorno. Questa è forse una direzione”.
‒ Lisa Parola
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