Il lato oscuro dell’eros nelle sculture di Jason Briggs
Al confine fra attrazione e repulsione si collocano le sculture porcellanate di Jason Briggs. Chiaramente allusive a una sessualità tutta da scoprire.
Jason Briggs vive nella campagna del Tennessee, non lontano da Nashville. È lì che da un quarto di secolo si dedica alla scultura, in modi dapprima abbastanza classici e poi sempre più devianti dalla retta via, sino a giungere alla tangibile, tangibilissima invenzione di inedite forme metamorfiche, altrettante sbalordenti amorfità fuse insieme e allusive ai vari caratteri sessuali del corpo femminile e maschile.
In dimensioni maggiori del vero (se si può parlare di “vero” in questi casi) Briggs dà vita infatti a sculture di porcellana che un po’ ti attirano a toccarle (magari senza farti tanto vedere) e un po’ però anche ti respingono dal farlo: orge debordanti di carni bianche compresse e strizzate da specie di corsetti a loro volta color carne, che un po’ nascondono e un po’ fanno esplodere orifizi e organi sessuali fusi e confusi insieme, l’uno accanto e dentro l’altro, in un delirio, indescrivibile a sole parole, di feticismi anche bondage dagli effetti certamente stranianti, sicuramente grotteschi.
PAROLA ALL’ARTISTA
“Io penso, e di conseguenza agisco, sulla base di un desiderio profondo di spingere, colpire, spremere, accarezzare, pizzicare. Voglio che le mie opere suscitino una tentazione del genere. Gli ovvi riferimenti sessuali, oltre all’inusuale attenzione un po’ feticista per le superfici, sono in grado di suscitare uno struggente desiderio di toccare, già potente quanto l’atto stesso. In questo senso si può anche tracciare un parallelo con la pornografia: ad esempio, il mio primo incontro con le pagine di ‘Playboy’, a 8 anni”, confessa apertamente l’artista. E aggiunge: “Mi sforzo di creare oggetti mai visti prima, misteriosi e stimolanti, che insistano silenziosamente sull’interazione dello spettatore. Oggetti che richiedono di essere esaminati ed esplorati più o meno nello stesso modo in cui un bambino indaga il mondo: con meraviglia, curiosità e anche trepidazione”.
EFFETTO (ANTI)EROTICO
Ma i suoi squilibrati conglomerati di cicce, pieghe, rigonfiamenti, giarrettiere, pelle, peli, meati, capezzoli, pori, clitoridi, forse materassi e forse trapunte, in un sabba di introflessioni ed estroflessioni di lucida carnalità porcellanata, rappresentano soprattutto il dark side dell’eros, ovvero le spiacevolezze di certi contatti fisici ravvicinati del quarto tipo. Al cospetto, si resta interdetti a metà del guado tra razionale pulsione tattile e istintiva repulsione mentale. D’altronde l’azione di tali opere è sempre intrecciatamente bidirezionale, perché generano un effetto al contempo naturale e artificiale, figurativo e astratto, realistico e surreale, erotico e antierotico, provocatorio e – perché no? – persino a suo modo decorativo. Anche quando, in Peel, evocano bucce pronte da sbucciare, per sbucciare appunto frutti proibiti. O quando, in Squirt, sotto la denominazione quasi spiacevolmente onomatopeica per l’eiaculazione femminile, si lanciano in più dirette rappresentazioni di quelle parti del corpo che ci attirano fatalmente nel gorgo degli “sporchi” peccati della carne.
‒ Ferruccio Giromini
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #43
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