Terraforma. Il (non) festival di Villa Arconati
Quinta edizione per Terraforma, la rassegna in arrivo a Bollate con un carico di musica, incontri, workshop ad alto contenuto di partecipazione.
“Non si può chiamarlo festival né è facile trovare un modo per dire in due parole cos’è!”. Esordisce così Ruggero Pietromarchi alla domanda su come definirebbe Terraforma. “È complesso comunicarlo, va vissuto. Il fenomeno anomalo è che le persone ci vengono anche senza sapere chi ascolteranno, spesso è un pubblico che sa poco o nulla degli artisti in programma, ma è lì per la natura sperimentale della musica e del progetto stesso. Terraforma raccoglie una comunità senza etichette, senza bandiere politiche, non catalogabile, ma sempre più folta e internazionale. Lo scorso anno eravamo in 5mila, quest’anno ci aspettiamo il raddoppio”.
Terraforma avrà luogo dal 29 giugno al 1° luglio, nel parco di Villa Arconati, a Bollate, Milano nord. Il nome rimanda a figurazioni variamente personalizzabili.
Se in termini scientifici la terraformazione (terraforming) è l’atto che rende un pianeta abitabile all’uomo, al resto di noi mortali il termine dal vago tono onomatopeico fa pensare a sbancamenti di terreno, grandi manovre e nuove configurazioni morfologiche terrestri. L’espressione, tuttavia, dice in sé ancora poco di cosa realmente sia l’evento, giunto ormai alla sua quinta edizione. Così, per aggiungere qualche indizio, lo si definisce “festival musicale sperimentale ed ecosostenibile” dove sperimentale è la scena artistica e sostenibile l’allestimento a impatto zero sull’ambiente che l’accoglie. Poco ancora, o paradossalmente troppo, data l’inclusività dei concetti scelti a manifesto, per capire cosa aspettarsi da tre giorni di vacanza musical-residenziale a Terraforma.
In programma installazioni per performance site specific, come il labirinto nel bosco e il planetario Ecstaticstatic, talk e workshop con artisti del calibro di Mohammad Reza Mortazavi, maestro di tombak e daf, concerti ispirati a yoga e meditazione, una sezione kids, dedicata all’esplorazione del mondo attraverso la musica per cacciatori del futuro.
Abbiamo incontrato il fondatore/manager in carica Ruggero Pietromarchi. Nessuno meglio di lui può raccontare lo spirito e gli intenti del festival.
Oggi sei il fondatore unico in carica, in origine eravate in tre, insieme ad Alberto Brenta e Dario Nepoti, poi dediti ad altri percorsi creativi. Come nasce Terraforma?
Il mio desiderio preciso era di fare un festival in cui mettere insieme una serie di elementi diversi per inventare nuove forme di ascolto: musica sperimentale live, dj set, progetti culturali, incontri, talk e laboratori per l’allestimento ambientale “site specific” dei concerti stessi. L’idea era far interagire la musica con i luoghi in cui veniva performata, fare in modo che il luogo si modificasse grazie alla musica e la musica prendesse ispirazione dall’ambiente intorno. Venivo dall’esperienza fatta con Ponderosa Music & Art, in produzioni discografiche, culturali e artistiche. Nel 2012 con Alberto e Dario abbiamo fondato Threes con l’idea di produrre eventi musicali abbinati a progetti culturali. Abbiamo cominciato a lavorare con Assab One a Milano. I risultati erano sorprendenti, chiari i princìpi estetici, chiara la progettualità. Fin dall’inizio il nostro obiettivo era far emergere l’aspetto artistico, i processi creativi dei musicisti e ambientare il tutto in luoghi meritevoli di attenzione. I festival dei primi due anni erano basati su tre momenti: una fase di “salotto” alla stamperia, fatta di conversazioni con l’artista per comprenderne il profilo e la storia; la performance musicale, in genere musica elettronica; il party finale. Il Terraforma di oggi comincia da quel format.
La componente ambientale, la natura speciale dello spazio in cui svolgere le performance, era già allora un aspetto distintivo, il punto di innovazione dei vostri progetti.
Sì, lo spazio per me era emblematico quanto la sperimentazione musicale. Volevamo uscire dai soliti club, in qualche modo prevedibili per il mondo dei concerti mainstream, volevamo luoghi inediti, creati apposta per quell’evento. Da quella esperienza, dopo due anni è nato Terraforma. Cerchiamo spazi storici abbandonati, preferibilmente dalla forte connotazione naturale, da riconfigurare e reinterpretare con la musica. In questo modo sia lo spazio che la musica diventano altro, inediti nel fondersi insieme. Crediamo nel valore di trasformazione dei luoghi attraverso le potenzialità di una manifestazione culturale ben fatta.
Così avete scelto Villa Arconati.
Il bosco era uno scenario perfetto per l’esperienza musicale che immaginavamo. Con la Fondazione Augusto Rancilio e altri partner, abbiamo costruito un programma triennale di interventi di restauro e riqualificazione ambientale del giardino storico, da realizzare attraverso la nostra iniziativa social-musicale. Una volta ideato il festival, pensare all’allestimento del parco architettonico è stato immediato, innanzitutto in termini di concretezza, nel progetto e nella fattibilità. Agire con concretezza significava agire, bonificare e allestire spazi per la gente, non per un festival che se ne va, ma per un progetto che realizza cose che rimangono. Il programma è scalato per piccoli interventi progressivi, quale segno del nostro contributo al miglioramento dell’ambiente e del paesaggio, includendo buone pratiche in quanto a energia, rifiuti e mobilità, messe a punto con Etica Sgr. Siamo cresciuti in un momento di grande crisi e confusione di valori, senza riferimenti chiari, sentiamo l’esigenza spingente di dar senso alle cose che facciamo, non ci interessa fare per consumare, ci interessa agire per un’idea di bene duraturo, per la comunità e per l’ambiente. Sapevamo in partenza di voler far da soli, senza chiedere aiuti economici alle istituzioni.
Dal valore emblematico dello spazio alle potenzialità dell’architettura sostenibile il passo è breve. Cosa ha innescato l’intersezione tra musica, ambiente e architettura a impatto zero?
Ho conosciuto Rabih Beaini, musicista e studente di architettura a Venezia, forse è stato lui il mio mentore, o almeno la figura che mi ha fatto guardare quel che già facevamo in un sincronismo progettuale nuovo, tra musica, architettura e spazio. Rabih è stato uno dei nostri artisti a Terraforma, nel 2012, con lui e Donato Doddi, abbiamo realizzato il progetto di sonorizzazione al Negozio Olivetti di Venezia. L’idea di unire musica e ambiente in un progetto sostenibile è stata una naturale evoluzione di quei primi passi: non divertimento in se stesso, ma sviluppo di un’idea culturale e sociale da svolgere in crescendo, anno dopo anno. Il nostro approccio alla sostenibilità si riflette negli interventi architettonici: non solo rispettare ma migliorare lo stato delle cose. Ci impegniamo a far sì che il nostro passaggio sia a impatto zero, ma al tempo stesso prendiamo ogni volta in carico un settore del parco da reinterpretare e rigenerare per il futuro. Con Fosbury Architecture quest’anno abbiamo ripristinato il Labirinto verde del ‘700. Il nostro obiettivo è risistemare nel tempo il parco intero e attrezzarlo con le nostre installazioni fisiche e sonore. Terraforma coinvolge un’intera filiera di azioni e persone: dagli architetti agli scenografi agli artigiani ai giardinieri, a chiunque voglia offrire il suo contributo nel realizzare cose concrete, che rimangano in fruizione alla villa. Ogni anno partecipano team di giovani architetti. Oltre a Fosbury e Studio Zarcola, la quinta edizione è curata da Studio Petrucci con il coinvolgimento dei ragazzi del Politecnico di Milano, dai workshop di progetto agli allestimenti sul campo. Tutto è sostenibile, anche in termini sociali, oltre che economici.
Porteresti Terraforma altrove, fuori dall’Italia?
Terraforma nasce da una specificità tutta italiana che è la domanda altissima di miglioramento del territorio e dell’ambiente urbano. Penso a Roma, Palermo, Napoli e alle zone di provincia. C’è tanto da fare. Il modello Terraforma può essere agente di cambiamento qui, ovunque in Italia, non occorre andar via.
A Villa Arconati, Terraforma ha fondato un vero e proprio villaggio residenziale.
La componente stanziale è un aspetto centrale del progetto. Quest’anno, per la seconda volta, dopo il successo della scorsa edizione, il campeggio è organizzato con Pop Up Hotel, una novità assoluta in Italia, in termini di comfort itinerante ed ecosostenibile per le localizzazioni più impensabili. Le tende sono allestite con letti veri e ambientazione da camera, proprio come un hotel, in una visione che va oltre l’idea del glamping per affiancare con creatività lo sviluppo di progetti culturali, e offrire la possibilità di vivere gli eventi dal loro interno.
Mick Cozzolino, inglese di Liverpool, fondatore del progetto Pop Up Italia, ci racconta che “al semplice campeggio, Pop Up Hotel fa eco e rilancia con uno stile di vita innovativo, nomade e sempre diverso, che offre insieme privatezza e spirito di comunità, al variare del contesto in cui si insedia. Pop Up Hotel si adatta ai luoghi che trova e li interpreta con lo stesso spirito con cui, con la musica, Terraforma performa lo spazio. Quando andiamo via non c’è traccia di noi, del nostro passaggio, la nostra forza è l’impatto zero al massimo delle prestazioni, purché sostenibili. Proprio come in un hotel, è possibile scegliere tra formule basic e vere e proprie suite da vivere anche in famiglia. Inutile dire che è andato tutto sold out!”.
Che tipo di esperienza offrite al pubblico?
Con Terraforma volevamo costruire un’esperienza, non un evento a consumo. Volevo portare le persone ad abitare qui, “intrappolarle” per amplificare il coinvolgimento nell’ascolto e apprezzare appieno la dimensione che si crea in tre giorni di immersione totale in un nuovo mondo. La permanenza è importante per dar senso alle cose e prendere contatto con le persone e con l’ambiente naturale. La dimensione tempo è importante per fare comunità e sentirsene parte integrante, dalla mattina alla sera alla notte. Per scherzare diciamo che il nostro è il festival dei genitori, perché il villaggio che si crea rispecchia il luogo mentale ideale in cui immaginarsi in equilibrio tra natura e persone intorno.
Qualche anticipazione dell’imminente Terraforma?
Venerdì si parte in live audio-video nel labirinto verde con i suoni di Felix Thorn sintetizzati da un sistema meccanico inventato per l’occasione. Cosa c’è di bellissimo? La linearità! Venti artisti in sequenza su un solo palco, ciascuno abbinato a un preciso momento della giornata, in un flusso ininterrotto di musica per tre giorni, magari distesi in una Pop Up tent-suite sotto una pioggia di stelle artificiali e luci psichedeliche. Non chiedersi cosa accadrà sarà il mood giusto per predisporsi alla sorpresa di quel che viene.
‒ Emilia Antonia De Vivo
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