Torino, Roma e la cultura. L’editoriale di Massimiliano Tonelli
Due delle città italiane leader nel campo della cultura stanno vivendo un lungo periodo di stagnazione, per non dire di declino. La soluzione? Nuovi esperimenti politici e cambiamenti netti, che possano ricostruirne la credibilità perduta.
Al di là di ogni disperata constatazione sull’attualità politica, occorre sforzarsi di proiettare le analisi sul medio o lungo periodo. Lo strapotere della Lega, data sopra il 30% (ma anche Renzi prese oltre il 40% pochissimi anni fa, per dire quanto ci vuole a salire e poi a crollare), e altre motivazioni esogene stanno erodendo il Movimento 5 Stelle. Nelle recenti elezioni amministrative ha figurato malissimo, non entrando in molti ballottaggi e perdendo malamente proprio a Roma, per certi versi città-emblema del grillismo.
Passando dalla politica tout court alle politiche culturali, lo scenario è complesso. Ferma restando l’importanza di Napoli, Firenze, Venezia, Bologna, Verona, e poi di Bari, Genova, Palermo, le tre città leader per le politiche culturali sono Roma, Milano e Torino. Se Milano è una città in cui la politica culturale è cucita dai privati con un’attività pubblica che si limita al rammendo, restano Roma e Torino le due città dove si modula l’impatto delle politiche culturali pubbliche, di matrice municipale e, soprattutto in Piemonte, regionale. Per storia e tradizione, due città dove l’exploit leghista rischia di trovare forti resistenze social-antropologiche. A fronte di ciò, resta il crollo (elettorale, ma anche di credibilità) dell’improbabile movimento politico inventato da Casaleggio. Se tutto questo prenderà corpo, nel giro di un paio d’anni Roma e Torino vivranno un esperimento politico altro e nuovo. Difficilmente sovrapponibile al vecchio Partito Democratico che, nelle sue varie articolazioni, aveva amministrato quei territori negli anni passati, ma senz’altro non identificabile nelle forze populiste in crisi (M5S) o in salute (Lega).
“Torino si è tramutata in una città provinciale. I luoghi più attrattivamente frequentati sono le stazioni di Porta Nuova e Porta Susa, dove la classe creativa si assiepa per raggiungere il capoluogo lombardo”.
Non vorremmo essere nei panni di chi avrà quest’onere. Chi si proporrà per questo compito dovrà compulsare a fondo, meditare a fondo, pianificare a fondo la proposizione culturale da sottoporre ai cittadini e alle forze creative. Sarà un ruolo gravoso. Il motivo? Semplice: tra le colpe del Movimento 5 Stelle c’è quella di aver attuato un autentico olocausto culturale. Un genocidio delle idee, degli spunti, della voglia, del merito, della spinta, del rischio, dell’atmosfera.
Torino si è tramutata in una città provinciale. I luoghi più attrattivamente frequentati sono le stazioni di Porta Nuova e Porta Susa, dove la classe creativa si assiepa per raggiungere il capoluogo lombardo. Non c’è un disegno, non c’è un progetto, oltre la tristezza diffusa tra i cittadini più accorti, che si rendono perfettamente conto dell’ingiusto declino che stanno vivendo. Ma non è eccessivo parlare di genocidio, seppur in maniera figurata? Eccessivo un corno: Patrizia Asproni (presidente della Fondazione Torino Musei), Alberto Barbera (direttore del Museo del Cinema), Walter Vergnano (sovrintendente del Teatro Regio), Gianandrea Noseda (direttore musicale del Teatro Regio), Carolyn Christov-Bakargiev (direttore della Galleria d’Arte Moderna), Cristian Valsecchi (segretario generale della Fondazione Torino Musei), Laura Milani (presidente del Museo del Cinema), Luca Beatrice (presidente del Circolo dei Lettori). E Christian Greco, dopo gli ignobili attacchi da parte di Fratelli d’Italia (tra i partiti populisti, ci eravamo dimenticati del più sfigato), sta pensando di mollare il Museo Egizio. Sono solo alcuni dei nomi che, in questi due anni di governo Appendino, si sono allontanati dalla città o dai ruoli che rivestivano. Qualcuno dirà: dopo tanti anni, a un consolidato sistema di potere, che aveva fatto anche del male a Torino, si è sostituito un sistema nuovo. Bene. Ma quali sono i nomi di questo nuovo sistema? Qual è il progetto? Chi esercita la leadership culturale? Chi racconta la storia creativa della città?
Ma Chiara Appendino è stata fortunata, perché di lei si è parlato poco: l’opinione pubblica era concentrata a raccontare della sua collega parigrado a Roma, Virginia Raggi. Protagonista di un’amministrazione al limite del surreale, basata su totale incapacità, ostentata incompetenza e quintali di menzogne, in dosi variabili a seconda dei problemi da affrontare. Anche qui l’umiliazione a cui è stata sottoposta la città non ha eguali.
“Gli unici segnali di vita sono all’insegna di uno strapaese che trasforma ogni video-promo in meme da far girare per la Rete, danneggiando l’immagine della città in Italia e nel mondo. In questa maniera, Roma si è totalmente spenta: nessuna voglia, nessuna creatività, nessun ottimismo”.
Roma aveva avuto una forte discontinuità politica con la vittoria nel 2008 di Alemanno, ma il pessimo ex Ministro dell’Agricoltura tutto distrusse salvo la cultura, anzi la città andò in continuità rispetto alla crescita impostata da Veltroni e aggiunse a questo le capacità politiche e relazionali di Umberto Croppi. Risultato? Nel biennio 2010-11 la capitale era uno dei place to be europei della cultura. Oggi le fondazioni private che aprirono all’epoca sono scappate, il Palazzo delle Esposizioni boccheggia, il Macro al Mattatoio non c’è più, anzi non c’è proprio più il progetto culturale del Mattatoio, trasformato in squallido affittacamere espositivo, mostre di dubbio gusto perfino nel piccolo gioiello della Galleria Comunale d’Arte Moderna, mentre il Museo d’Arte Contemporanea, dopo il flop della mostra sui Pink Floyd (sic!), è chiuso a tempo indeterminato in attesa di trasformarsi, forse in ottobre, in “Asilo” (sic!) per mano di un ex compagno di classe dell’assessore alla cultura nominato direttore (ma ufficialmente risulta curatore, così il giochetto non può essere impugnabile) senza l’ombra di una gara e di un’evidenza pubblica, reduce da un’unica esperienza culturale: l’occupazione abusiva di una ex fabbrica durissimamente condannata dalla magistratura civile.
Gli unici segnali di vita sono all’insegna di uno strapaese che trasforma ogni video-promo in meme da far girare per la Rete, danneggiando l’immagine della città in Italia e nel mondo. In questa maniera, Roma si è totalmente spenta: nessuna voglia, nessuna creatività, nessun ottimismo. Il tratto che accomuna la cittadinanza è ormai solo la cattiveria e la rabbia, oltre a un livello di depressione e di scoramento sopra il limite di guardia. Non proprio l’ambiente ideale per chi vuole ricostruire un’identità culturale.
Insomma, le nostre due principali città-culturali-pubbliche sono pronte a un cambiamento, ma negli ultimi anni sono state rase al suolo. Chi se ne occuperà dovrà essere bravo il doppio – dovrà essere capace a ricostruire, e bene, sulle macerie.
‒ Massimiliano Tonelli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #44
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